venerdì 28 giugno 2019

Guerra dei dazi, la Cina sfida Trump: via il bando Huawei o niente accordo

@- Fino a oggi la Cina non ha alzato davvero la voce sul tema Huawei, ma a quanto scrive il Wall Street Journal il momento è arrivato.

La Cina è pronta a mettere la questione Huawei sul tavolo del negoziato commerciale con gli Stati Uniti. A un mese dal bando che di fatto impedisce alle aziende americane di fare business con il colosso tecnologico cinese, le conseguenze più rilevanti sono per Huawei, che ha tagliato le sue stime di crescita di 30 miliardi di dollari nei prossimi 2 anni con un calo delle vendite smartphone del 40%.

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Non solo. Il problema è anche per le aziende americane, tanto che alcune - come Intel e Micron - stanno aggirando il divieto facendo leva sull'etichettatura delle merci, rendendole così non fabbricate in America. Mentre Google sta facendo pressione su Washington perché molli la presa (il bando è sospeso fino al 19 agosto, poi si vedrà).

Interattivo: 
Fino a oggi la Cina non ha alzato davvero la voce sul tema Huawei, ma a quanto scrive il Wall Street Journal il momento è arrivato. Succederà sabato in Giappone. È lì che il premier cinese Xi Jinping incontrerà il presidente americano Donald Trump. E metterà una serie di precondizioni per porre fine alla guerra commerciale, incluso lo stop al bando a carico di Huawei. Il giornale americano solleva dubbi sul fatto che i due leader riusciranno a trovare un accordo sul rilancio dei negoziati.

Il rappresentante per il Commercio, Robert Lighthizer, e il vicepremier, Liu He, i capi negoziatori di Usa e Cina, hanno avuto una telefonata in settimana e in vista del summit dei leader dovrebbero incontrarsi di persona a Osaka. Non è chiaro di cosa parleranno e se quanto definiranno potrà essere approvato da Trump e Xi. Malgrado la lista di precondizioni, il presidente cinese non avrà la postura aggressiva col tycoon, secondo i funzionari cinesi.

La parte Usa, invece, cercherà di capire se la controparte cinese è disponibile a riprendere i negoziati dal punto in cui si bloccarono ad aprile, alla soglia del 90% dell'accordo, come ha anticipato ieri in qualche modo il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin: in vista del traguardo, secondo la lettura Usa, Pechino fece un brusco e improvviso cambio di rotta.

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