sabato 13 aprile 2019

Perché il ritorno di Ratzinger fa paura alla Chiesa progressista

@ - Le diciotto pagine di Joseph Ratzinger hanno sollevato un polverone. I motivi dello spavento di una Chiesa progressista, che ha già rivalutato il 68'.

Joseph Ratzinger è tornato a parlare. Lo ha fatto, con la complessità argomentativa che lo contraddistingue, attaccando alcune conseguenze derivanti dall'importazione nella Chiesa cattolica delle istanze del 1968'.

Un fenomeno che, stando alle diciotto pagine che ha scritto, ha interessato pure seminari e ambienti ecclesiastici. Ma alcuni cattolici - i tradizionalisti direbbero "progressisti" - non hanno reagito in maniera positiva. Si va dal teologo Andrea Grillo, che ha parlato di "appunti confusi" alla giornalista Stefania Falasca, che ha twittato ricordando come un "vescovo emerito" non debba "interferire in nulla nella guida della diocesi...". C'è persino chi, come il gesuita e teologo Michael Amaladoss, ha specificato come la "reazione migliore" consista nell'ignorare quanto scritto da Benedetto XVI. Lo si può apprendere su Settimana News. Potremmo procedere con una vasta elencazione, ma i pochi casi segnalati sembrano sufficienti a dimostrare l'esistenza di una certa insofferenza.

Il papa emerito non ha affatto attaccato il suo successore. Non ha neppure messo in discussione la bontà del Concilio Vaticano II, che da riformatore ha contribuito a sviluppare. Joseph Ratzinger ha anche eccepito, in principio, di aver informato papa Francesco e la segreteria di Stato della mossa che stava per fare. Forse - questo è un punto discusso - Jorge Mario Bergoglio e il cardinale Pietro Parolin non hanno ricevuto le riflessioni del teologo tedesco prima che venissero pubblicate. La querelle teologica - dottrinale, che almeno per ora non riguarda le alte sfere vaticane, tocca evidentemente un punto sensibile. Il sessantottismo, nella visione di Benedetto XVI, occupa un posto di rilievo in termini di disastro antropologico - esistenziale. Nell'analisi ratzingeriana, non possono essere rintracciati giudizi positivi sugli anni della contestazione. C'è un chiaro "no", invece, alla laicizzazione dei costumi e della gestione delle cose ecclesiastiche. Non rileva, com'era invece per il cardinal Martini, il fatto che il 68' abbia fatto da "pungolo" per il novecento. Non c'è - ovviamente - neppure una rivalutazione del pensiero marxista, che è invece stata operata in tempi non sospetti dal cardinal Reinhard Marx. L'antimaterialismo e la lotta al relativismo accompagnano Ratzinger in ogni riga della sua riflessione. Nelle diciotto pagine di Benedetto XVI non è riscontrabile un'elegia celebrativa di quegli anni, com'è stato invece possibile, in passato, pure per ambienti culturali prossimi alla Santa Sede.

Qualcosa vuole che l'emerito risulti quasi più incisivo adesso, da rinunciatario, rispetto agli anni di pontificato. Ogni volta che Benedetto XVI dice la sua, alcuni ambienti lo attaccano. Il fuoco, a volte, è persino "amico". La sensazione è che la frangia più progressista della Chiesa cattolica abbia intenzione di traghettare il cattolicesimo nella direzione opposta a quella che Joseph Ratzinger ha indicato da prefetto della Congregazione della fede prima, da papa poi e adesso per mezzo di queste sue brevi, ma inappellabili, comparizioni. Alla Chiesa che guarda con favore al 68', Ratzinger non può stare simpatico. Ma questa - a pensarci bene - non è una novità. Per fortuna che è stato lo stesso Papa Francesco - agli inizi del 2018 - a constatare come la corsa del sessantottismo ai "nuovi diritti" abbia prodotto degli effetti negativi e paradossali.

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