giovedì 18 aprile 2019

Bergoglio, Ratzinger e il Signore che placa le tempeste

@ - Gli “appunti” sugli abusi del Papa emerito, piazzati sulla soglia della Settimana Santa, allungano i suoi effetti sui giorni in cui si celebrano i misteri della fede cristiana. Francesco avverte che nell’ora in cui «Dio scende in battaglia, bisogna lasciarlo fare». E il popolo di Dio se ne accorge e protegge con le preghiere i due anziani pastori dalle manovre delle cricche clericali.

«Sabato Santo: giorno della sepoltura di Dio; non è questo in maniera impressionante il nostro giorno? Non comincia il nostro secolo a essere un grande Sabato santo, giorno dell’assenza di Dio, nel quale anche i discepoli hanno un vuoto agghiacciante nel cuore che si allarga sempre di più?». Così Joseph Ratzinger apriva le sue tre celebri «meditazioni» sul Sabato Santo», che già molti anni prima della sua elezione papale venivano utilizzate da tanti durante la Settimana Santa come prezioso ausilio per entrare nel mistero della passione, della morte e della resurrezione di Cristo.

Quest’anno, un altro testo firmato da Joseph Ratzinger sta proiettando i suoi effetti sui giorni che del Triduo pasquale. Lo ha diffuso in tutto il mondo, con operazione architettata, un network mediatico in gran parte coincidente con la rete di testate che lo scorso 28 agosto diedero il via alla cosiddetta “Operazione Viganò”, con la richiesta di dimissioni presentata dall’arcivescovo Viganò a Papa Francesco insieme alle infamanti accuse di aver “coperto” l’allora cardinale Usa Theodor McCarrick, abusatore seriale.

La tempistica della diffusione del testo firmato Ratzinger appare poco conforme al modus operandi di colui che ne è indicato come l’autore. La sollecitudine con cui Joseph Ratzinger, anche da Papa, insisteva sulla centralità dell’azione liturgica nella vita della Chiesa appare poco compatibile con la trovata di piazzare sulla soglia della Settimana Santa un testo destinato in ogni modo a distrarre e addirittura turbare tanti fedeli in attesa di celebrare con devozione e raccoglimento i misteri centrali della fede cristiana. 

Le possibili domande intorno agli “appunti” attribuiti a Ratzinger sui temi della pedofilia e degli abusi sessuali clericali non si limitano alla tempistica della sua diffusione. Nel testo galleggiano formule, ricordi, riferimenti, immagini (come quella della Chiesa come “rete” piena di pesci buoni e pesci cattivi) che certo appartengono - in tempi diversi e anche distanti tra loro - alla memoria e alla predicazione passata di Joseph Ratzinger. Ma solo nella parte finale sembrano esserci tracce dello sguardo profetico e delle parole di spiazzante e confortante intelligenza spirituale – nutrita dai Padri della Chiesa – con cui Ratzinger ha tante volte guardato alle angosce per il venir meno della fede nel tempo presente.

Ratzinger non aveva ancora trent’anni quando si accorse che i ragazzi nella parrocchia di Monaco dove era vice-parroco frequentavano la chiesa con una una estraneità sostanziale alla fede e al cristianesimo, pur dissimulata nella partecipazione a riti e pratiche imposte dalla convenzione sociale. In quegli anni, pur segnati da fenomeni di “trionfalismo ecclesiale”, Ratzinger già riconosceva che il volto del nuovo paganesimo non era quello dell’«ateismo orientale», ma quello di un «paganesimo intra-ecclesiale», cresciuto nelle situazioni in cui la Chiesa era percepita come «un dato a priori della nostra esistenza occidentale», con un senso di appartenenza che non aveva più nulla a che fare con l’attesa di felicità e la speranza di salvezza eterna.

Nel 1969, subito dopo il Concilio, immune da trionfalismi di nuovo conio, il giovane teologo conciliare aveva già delineato ai microfoni di una radio tedesca la sua “profezia” sul futuro della Chiesa. Con uno sguardo critico e penetrante su quello che stava succedendo (gli effetti del ’68 erano nella loro fase dilagante) aveva preconizzato un tempo di crisi, nel quale la Chiesa avrebbe perso «gran parte dei privilegi sociali», non sarebbe più stata «forza sociale dominante» e non sarebbe stata più in grado «di abitare molti degli edifici che aveva costruito nella prosperità». Ma aveva prefigurato tale passaggio anche come un tempo di purificazione, che l’avrebbe resa povera, spirituale e semplificata. Facilitata nel riconoscere la propria totale dipendenza dalla grazia di Cristo. Fino a farla diventare «la Chiesa degli indigenti», liberata dalla «ristrettezza di vedute settaria» e dalla caparbietà pomposa», per mostrarsi ina maniera più trasparente come «la casa dell’uomo, dove trovare vita e speranza oltre la morte». Non «la Chiesa del culto politico, che è già morta, ma la Chiesa della fede».

Nell’impianto degli “appunti” firmati dal Papa emerito non si avverte uno sguardo di simile potenza sull’abisso degli abusi sessuali clericali. I riferimenti e le valutazioni – da quelli più condivisibili a quelli più soggettive – sembrano in gran parte appartenere al genere della “disputa” dottrinale tra accademici. Le legittime e opinabili digressioni canonistiche, le frasi a effetto, i riferimenti a polemiche personali si offrono al gioco delle prese di posizione tra i travet del dibattito ecclesiale. Ma appaiono fuori registro rispetto allo sguardo e alle parole apocalittiche – cioè rivelatrici – con cui Joseph Ratzinger, anche da Papa, ha raccontato la scristianizzazione del tempo, unendo vertiginoso realismo, lucidità di analisi e consolante speranza, contro ogni speranza.

Joseph Ratzinger appare di fatto irraggiungibile. La possibilità e le richieste di avvicinarlo - e di poter chiedergli ragione degli “appunti” e di altri testi recenti a lui attribuiti – viene selezionata da filtri insindacabili, oltremodo efficaci. Nella fragilità crescente del corpo, testimoniata anche dalle sue ultime foto circolate pubblicamente, vive nel “recinto di Pietroˮ col cuore e gli occhi fissi nel mistero che fa vivere la Chiesa. Non lo lasciano in pace soltanto i suoi tormentatori più impietosi: le cricche, gli apparati e i personaggi – compresi arcivescovi e cardinali - che si ostinano a strattonarlo per incastrarlo nelle guerre ideologiche e di potere con cui dilaniano la carne di Cristo. In passato hanno invano provato a tirarlo dentro il loro attacco a Papa Bergoglio, tentando di spacciarlo come il “padrino” dell’operazione-Viganò. Irriducibili, avevano bisogno in fretta di un “manifesto” attribuibile a Ratzinger per perpetuare la loro Lotta Continua. Un manifesto riconducibile alla loro statura, alla portata delle loro guerriciole di posizione.

La ferocia empia con cui sedicenti “ratzingeristi” maltrattano il Papa emerito, usandolo come bandiera delle loro operazioni di potere e di politica ecclesiastica, è anche essa un segno vertiginoso della condizione della fede e della Chiesa nel mondo, che tanto ha fatto palpitare, per tutta la vita, il cuore di Joseph Ratzinger.

In questo contesto, Papa Francesco, nell’omelia della domenica delle Palme, ha posto anche il tempo vissuto dalla Chiesa alla luce del mistero della Passione di Cristo. Ha richiamato il silenzio «impressionante» di Gesù sulla croce, e ha ricordato che nei momenti di grande tribolazione occorre avere «il coraggio di tacere», assumendo davanti al demonio che esce allo scoperto «lo stesso atteggiamento di Gesù. Lui sa che la guerra è tra Dio e il Principe di questo mondo, e che non si tratta di mettere mano alla spada, ma di rimanere calmi, saldi nella fede. È l’ora di Dio. E nell’ora in cui Dio scende in battaglia, bisogna lasciarlo fare. Il nostro posto sicuro sarà sotto il manto della Santa Madre di Dio. E mentre attendiamo che il Signore venga e calmi la tempesta, con la nostra silenziosa testimonianza in preghiera, diamo a noi stessi e agli altri “ragione della speranza che è in noi”».

Il Vescovo di Roma venuto dall’Argentina e il suo “emerito” bavarese condividono – ognuno a modo suo - la stessa sollecitudine e lo stesso sguardo di fede sul tempo che sta vivendo la Chiesa. Il popolo di Dio se ne accorge, per affinità elettiva. E protegge con le sue preghiere ambedue gli anziani pastori dalle manovre delle cricche clericali e dai «cani» (San Paolo), compresi quelli in alta uniforme ecclesiastica.Lo farà anche durante i riti della Settimana Santa, quando vedrà il Signore scendere agli inferi, nell’abisso della morte, e poi gioirà del trionfo della sua Resurrezione. «Dio è morto», scriveva ancora Ratzinger nelle sue meditazioni sul Sabato santo, «e noi lo abbiamo ucciso: questa frase è presa quasi alla lettera dalla tradizione cristiana e noi spesso nelle nostre viae crucis abbiamo ripetuto qualcosa di simile senza avvertire la gravità tremenda di quanto dicevamo. Noi lo abbiamo ucciso, rinchiudendolo nel guscio stantio dei pensieri abitudinari, esiliandolo nel giro di frasi fatte o di preziosità archeologiche. (…). Quando la tempesta sarà passata, ci accorgeremo di quanto la nostra poca fede fosse carica di stoltezza. E tuttavia, o Signore, non possiamo fare a meno di scuotere te, Dio che stai in silenzio e dormi, e gridarti: svegliati, non vedi che affondiamo? Destati, non lasciar durare in eterno l’oscurità del Sabato santo. Lascia cadere un raggio di Pasqua anche sui nostri giorni. Affiancaci mentre ci avviamo disperati verso Emmaus, affinchè il nostro cuore possa accendersi alla tua vicinanza».

Nessun commento: