venerdì 29 marzo 2019

Schiaffo del regime a Guaidó, revocata la carica di presidente del Parlamento

@ - La magistratura venezuelana revoca la carica al presidente del parlamento per reati fiscali. Ora rischia l’arresto. La replica: «Condanna assurda». La Corte dei conti revoca la carica al presidente del Parlamento. Il leader M5S: «Vogliamo elezioni subito».

Il governo di Nicolas Maduro esce dall’angolo e lancia la controffensiva contro l’opposizione venezuelana, con una decisione che punta a mettere fuori gioco il suo avversario diretto, l’«altro presidente», Juan Guaidó. La «Contraloria general», una specie di Corte dei conti istituita dal chavismo, ha interdetto alla vita politica per 15 anni il presidente designato dal Parlamento, come risultato di un’inchiesta interna su presunti delitti di natura fiscale; gli si contesta di non aver dichiarato i suoi beni e di non poter giustificare i suoi viaggi all’estero. Gli Usa reagiscono: «Sentenza ridicola».

Intanto, da Washington, il vicepremier italiano, Luigi Di Maio, annuncia: «Il nostro governo non riconosce Maduro» e in Venezuela «si deve andare a elezioni libere il prima possibile». Poco prima, il Parlamento europeo aveva ribadito «il riconoscimento di Juan Guaidó come legittimo presidente a interim del Venezuela» e invitato i Paesi che non lo hanno ancora riconosciuto «a farlo con urgenza». Tra questi c’è anche l’Italia. Eppure, tra i 310 eurodeputati che hanno votato a favore del testo ci sono anche i parlamentari della Lega, che evidentemente hanno voluto mandare un messaggio al loro governo. Confermano il loro voto contrario, invece, gli alleati del M5S.

La mossa del chavismo
Quello della Corte dei conti è un chiaro escamotage per togliere dai giochi il leader dell’opposizione che da due mesi e mezzo sta tenendo in scacco il governo. Dal punto di vista legale la decisione è debole: non viene da un corte penale ma, da un organismo statale che risponde al presidente, senza che ci sia stato un dibattito o un processo aperto e senza aver mai interpellato il diretto interessato. Si tratta, inoltre, dello stesso cammino scelto per radiare dalla politica due anni fa Henrique Capriles, candidato presidenziale sconfitto nel 2013 proprio da Maduro. Allora funzionò, Capriles non si è più presentato, ma ora i tempi sono cambiati. Guaidó ha dichiarato che non riconosce la sentenza. «Hanno inventato questa condanna per escludermi dai giochi, ma la gente sa benissimo che quell’organismo non conta nulla, così come non vale ormai nulla l’Assemblea Costituente che dovrebbe scrivere la nuova Carta e che invece non si riunisce nemmeno più». In linea teorica, ma tutto va preso con le pinze perché ormai ogni logica istituzionale è saltata, Guaidó, ora, rischia l’arresto; basta che si presenti ad un comizio, a una riunione del Parlamento o dia un’intervista sulla situazione politica del Paese. Quello di ieri è solo l’ultimo passo di una controffensiva chavista, a dimostrazione della rinnovata fiducia da parte di Maduro di poter vincere la battaglia con l’opposizione.

La settimana scorsa la polizia politica ha arrestato Roberto Marrero, stretto collaboratore di Guaidó, accusandolo di spionaggio e tradimento. Poi c’è stato l’arrivo di un contingente di un centinaio di militari russi, un gesto simbolico voluto da Putin e che ha preoccupato la Casa Bianca. Come se non bastasse, il governo ha emanato una nuova legge «contro l’odio», che sancisce l’arresto per tutti quelli che agiscono contro gli «interessi nazionali». Censura e arresti; a poco è servito il gravissimo report presentato dal Commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet, in cui si denunciano detenzioni illegali e torture agli oppositori da parte di forze dell’ordine e gruppi paramilitari.

Continua intanto a macchia di leopardo il black out elettrico. Con la popolazione al buio e senz’acqua e l’opposizione con le spalle al muro, Maduro è riuscito a mantenere lo status quo e anche la pressione internazionale, gradualmente, tende a diminuire. Non ha vinto la partita, ma sembra aver allontanato il fantasma di un’imminente sconfitta.

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