Sta crescendo nei sondaggi, dopo il calo sistematico del 2018, a danno delle opposizioni più radicali e paradossalmente più solidali con il movimento dei "gilet gialli"
Sono passate undici settimane da quando ogni sabato in Francia vengono organizzate manifestazioni di protesta. Iniziate contro l’aumento delle accise sui carburanti, le proteste del variegato movimento dei “gilet gialli” hanno progressivamente ampliato le proprie rivendicazioni, finendo per concentrarsi sullo slogan “Macron démission” (“Macron dimissioni”). Dopo una risposta tardiva e scomposta, il presidente Emmanuel Macron e il suo governo si sono gradualmente messi in condizione di riprendere il controllo della situazione, o almeno di provarci: e i dati dei sondaggi danno qualche indicazione interessante.
Per opporsi a Macron, il movimento dei “gilet gialli” ha di fatto scavalcato e respinto i partiti di opposizione più radicali di destra e di sinistra, nonostante quegli stessi partiti abbiano mostrato comprensione, sostegno o vicinanza verso il movimento. Si è dunque creata, scrivono diversi giornali, una situazione paradossale: i sondaggi sulle intenzioni di voto per le prossime elezioni europee mostrano che l’ipotesi della presenza di una lista di “gilet gialli” toglierebbe voti soprattutto ai leader più radicali della destra e della sinistra francese: Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon. I dati di Elabe riferiti alla scorsa settimana indicano che il partito di Macron, se ci fosse una lista dei “gilet gialli”, prenderebbe il 22,5 per cento, mentre Rassemblement National di Le Pen (conosciuto fino al 2018 come Front National) sarebbe al 17,5 per cento e la lista dei “gilet gialli” sarebbe al terzo posto con il 13 per cento. Il partito di Macron in questa ipotesi perderebbe un punto rispetto al risultato ottenuto al primo turno nel 2017, mentre il partito di Le Pen ne perderebbe 3,5 e quello di Mélenchon 1,5. Il movimento dei gilet gialli potrebbe insomma trasformarsi in un problema reale non tanto per Macron, ma per i suoi avversari politici.
Si è parlato della possibilità di presentare alle elezioni europee una lista dei “gilet gialli” la scorsa settimana, quando Ingrid Levavasseur, un’infermiera di 31 anni con una certa visibilità durante le proteste, ha annunciato che avrebbe guidato una lista di dieci candidati. Il movimento – che non ha un leader identificabile, una struttura organizzativa o un programma unico – ha reagito in modo molto negativo, secondo un monitoraggio che è stato fatto sulle loro pagine Facebook.
In tutto, poi, secondo i sondaggi il sostegno nei confronti dei “gilet gialli”, sebbene resti alto, sta diminuendo. A dicembre il 68 percento dei cittadini francesi aveva detto di sostenere il movimento, mentre a gennaio quel segmento è sceso al 56 per cento. L’indebolimento di questo sostegno si vede anche nella minore partecipazione alle proteste e nel miglioramento dei dati di popolarità di Macron.
Il presidente francese si è trovato nella complicata situazione di dove accogliere e respingere allo stesso tempo le richieste dei “gilet gialli” e le loro modalità di stare in piazza. Dopo le grandi concessioni economiche annunciate a dicembre, a metà gennaio ha lanciato e aperto un “grande dibattito nazionale” su quattro temi per coinvolgere direttamente sindaci e cittadini. Le opposizioni hanno criticato l’iniziativa dicendo che era solo un diversivo, una strategia comunicativa e non di sostanza in vista delle europee, o un modo per guadagnare tempo. Tuttavia, sembra che questo invito alla partecipazione stia avendo successo e che abbia risposto a una vera esigenza delle persone: nel giro di poche settimane sono stati infatti programmati centinaia di dibattiti a livello locale.
Giovedì scorso Macron è arrivato senza preavviso a una di queste riunioni nella piccola città di Bourg-de-Peage, nel sud. Si è scusato per essere arrivato tardi, ha raccontato la propria storia e quella della propria famiglia dicendo di non essere «nato con un cucchiaio d’argento in bocca», per rispondere a chi lo indica come “il presidente dei ricchi”; ha risposto alle domande dei partecipanti e ha argomentato le proprie proposte. Oltre al dibattito, come dicevamo, a dicembre il governo ha poi cercato di accontentare i manifestanti con un pacchetto di misure sociali a favore dei lavoratori che percepiscono il salario minimo o riducendo le imposte sugli straordinari e sulle pensioni più basse. La combinazione di queste due iniziative e il ritorno del presidente “tra la gente” sembra aver avuto delle conseguenze sulla cosiddetta opinione pubblica.
I sondaggi di gennaio mostrano infatti un leggero aumento di popolarità per Macron: il dato resta negativo, ma si è interrotto il calo sistematico che era stato registrato per buona parte del 2018. Per YouGov si è passati dal 18 per cento di dicembre al 21 per cento di gennaio, per Ipsos il sostegno a Macron è aumentato negli stessi mesi sempre di tre punti (23 per cento contro il 20). Ifop e BVA parlano di un aumento di quattro punti (rispettivamente dal 23 al 27 e dal 27 al 31).
Anche se è comunque prematuro parlare di un’inversione di tendenza, il fatto che tutti i dati vadano nella stessa direzione li rende quanto meno interessanti da presentare e discutere, e suggeriscono ad alcuni osservatori che potrebbe essere iniziata una nuova fase. Una parte dell’opinione pubblica francese è insomma dell’idea che qualcosa stia succedendo: «C’è una ristrutturazione della sua base elettorale», ha spiegato per esempio Frédéric Dabi, vicedirettore generale dell’istituto Ifop, parlando di Macron. Lo pensa la stragrande maggioranza (75 per cento) dei sostenitori del presidente, ma lo pensa anche circa un terzo dei sostenitori dei partiti di opposizione. Gli osservatori concordano nel dire che Macron sta ricompattando gran parte del proprio elettorato originario (quello delle elezioni presidenziali), ma anche che lo stia rinnovando con una componente centrista e di destra, più vecchia e tradizionalmente amante dell’ordine, che ha apprezzato la sua strategia di risposta ai “gilet gialli”.
Nessun commento:
Posta un commento