lunedì 26 novembre 2018

La "mission impossible" di Theresa May: convincere il Paese che l'accordo su Brexit con la Ue è buono

La premier britannica potrebbe non avere la maggioranza per ratificare l'intesa faticosamente raggiuta e si prepara a lanciare un tour nazionale per convincere l'opinione pubblica affinché faccia pressione sul Parlamento.

LONDRA – Da oggi nel Regno Unito comincia un nuovo negoziato. Ma si può anche definire una campagna elettorale. Theresa May lancia un tour nazionale per convincere il paese che il suo accordo sulla Brexit con l’Unione europea, approvato domenica dai 27 leader della Ue nel summit di Bruxelles, è “il migliore possibile”, come la premier ha scritto nella lettera aperta inviati ai compatrioti. La sua speranza è che l’opinione pubblica premerà sul parlamento affinché ratifichi l’intesa quando verrà discussa dalla camera dei Comuni, probabilmente il 12 dicembre prossimo.

Sulla carta una “mission impossible”: la leader conservatrice ha una maggioranza di appena 6 seggi al palazzo di Westminster, e non avrebbe neanche quella senza il sostegno dei 10 deputati del Dup, il piccolo partito unionista nord-irlandese che sorregge dall’esterno il suo governo. Ma il Dup afferma che voterà contro l’accordo e da 50 a 90 parlamentari dei Tories sembrano intenzionati a fare altrettanto, per lo più ultra-brexitiani convinti che il patto faccia della Gran Bretagna una colonia della Ue, in aggiunta all’opposizione, dai laburisti agli indipendentisti scozzesi ai liberaldemocratici, ciascuno con le sue motivazioni.

Tuttavia Downing non si arrende e si prepara a usare ogni mezzo per fare cambiare idea ai deputati ribelli. Il tour da campagna elettorale è uno. Poi ci saranno promesse, minacce, forse perfino ricatti sottobanco: insomma tutti gli sporchi trucchi tipici di una campagna elettorale. E contrariamente alla campagna autentica per le elezioni del 2017, che doveva stravincere allargando la sua maggioranza parlamentare mentre invece quasi perse, May ora accetta un duello televisivo con il suo principale avversario politico, il leader del Labour, Jeremy Corbyn. E’ anzi lei stessa a proporlo e Corbyn risponde: “Non vedo l’ora di sfidarla”.

Il che rappresenta un problema per il capo laburista: contrario all’accordo, affermando che lui ne negozierebbe uno migliore, finora non si è differenziato molto dal piano della premier, limitandosi a proporre che la Gran Bretagna resti per sempre nell’unione doganale europea, quando l’accordo concluso da May prevede che ci rimanga per due anni o più, fino a quando non si sarà trovata una soluzione alternativa per tenere aperto il confine fra Irlanda del Nord britannica e repubblica d’Irlanda. Siccome è possibile che la soluzione alternativa non si trovi, in pratica Corbyn e May finiscono per concordare su questo punto.

La maggior parte del Labour si aspetta dal proprio leader una svolta più decisa: il pieno sostegno a un secondo referendum, il cosiddetto “people’s vote”, in cui interpellare il popolo per sapere se vuole uscire dalla Ue con l’accordo negoziato da Theresa May oppure, fatti bene i conti, a questo punto decidere di restare in Europa. Questo è il grande interrogativo della “campagna elettorale” dei prossimi giorni. In sostanza un “negoziato” fra la leader dei Tories e il proprio partito, e in senso più ampio il proprio paese, per persuaderli che il suo accordo non è poi così male come sostengono in tanti, dai brexitiani duri e puri ai laburisti filo-europei, dai sindacati alla Confindustria, dai separatisti nord-irlandesi ai nazionalisti scozzesi, per opposte e svariate ragioni.

Ma c’è anche qualcuno che concorda con la premier. Per esempio, il columnist del Financial Times Wolfgang Munchau, secondo cui l’accordo minimizza i danni a breve termine, lascia aperta la porta a un futuro ritorno nella Ue e rappresenta l’unico compromesso ragionevole per riunificare una nazione spaccata a metà dalla Brexit. Entro due settimane sapremo come finirà. Theresa May appare battuta in partenza. Ma anche arrivare a un accordo con la Ue sembrava, due anni e mezzo fa, una missione impossibile. Né bisogna sottovalutare l’interesse dei parlamentari a conservare il proprio posto, poiché una bocciatura del piano comporterà quasi certamente elezioni anticipate, in cui Corbyn è al momento il favorito. Infine laa gente non ne può più di discutere di Brexit e desidera “voltare pagina”, come riconosce la stessa May. La premier ha dunque una piccola chance di farcela. Piccola, però.

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