domenica 25 novembre 2018

Il Consiglio Europeo ha approvato l’accordo su Brexit

Come previsto non ci sono stati intoppi: restano restano comunque molte cose su cui trattare prima dell'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea.

I capi di governo e di stato europei radunati a Bruxelles per un Consiglio Europeo straordinario hanno approvato la bozza di accordo sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea trovato due settimane fa dai negoziatori britannici ed europei. È uno dei passaggi ufficiali più importanti in vista di Brexit: ora che l’accordo è stato approvato da tutti gli stati sarà molto difficile modificarlo o riaprire i negoziati, che sono durati circa un anno e mezzo. Non ci sono state sorprese: la bozza di accordo è stata approvata all’unanimità. L’ultimo ostacolo all’approvazione, cioè l’eventuale applicazione dell’accordo per Gibilterra, era stato risolto ieri grazie a un compromesso raggiunto fra Spagna, Regno Unito e Unione Europea.

La prima ministra britannica Theresa May era arrivata in città ieri sera: ha incontrato il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker per limare gli ultimi passaggi dell’accordo e aveva pubblicato una lettera aperta per spiegare l’importanza dell’approvazione dell’accordo da parte del Consiglio.

La lettera si chiude con l’augurio che anche il Parlamento britannico, nelle prossime settimane, ratificherà l’accordo che sarà approvato oggi. May sa bene che al momento il passaggio in Parlamento resta l’ostacolo più difficile all’applicazione del suo accordo: secondo i calcoli dei giornali britannici il governo deve convincere circa 80 parlamentari per approvare l’accordo. Una fonte vicina alla presidenza austriaca ha detto ai giornalisti radunati fuori dall’aula del Consiglio che non crede che l’accordo potrà essere cambiato di nuovo nel caso il Parlamento britannico lo respinga. Sembra che il Consiglio non abbia neppure discusso di questa possibilità.

Stamattina, May si è unita alla riunione del Consiglio solo verso le 11. Tutti gli altri leader europei sono arrivati fra le 8.30 e le 9.30. Come capita ad ogni Consiglio Europeo, il distretto di Bruxelles che ospita le istituzioni europee è stato chiuso al traffico già dalla mattina presto, un orario in cui comunque le uniche persone che si vedevano per strada erano funzionario o giornalisti. Per accedere all’edificio dove è in corso il Consiglio bisogna passare due checkpoint, uno dei quali è presidiato da agenti dell’unità anti-terrorismo della polizia. Per le 12 è già stata indetta una conferenza stampa del presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, e del presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker.

La discussione è stata molto breve, come previsto. Tutti i nodi principali sono stati risolti: Unione Europea e Regno Unito hanno un accordo su come calcolare la cifra che il Regno Unito dovrà versare all’Unione per rispettare gli impegni presi finora, sulla condizione dei cittadini europei che vivono nel Regno Unito, sul cosiddetto “backstop” per evitare un confine “chiuso” tra Irlanda e Irlanda del Nord, e anche sul periodo di transizione prima dell’uscita vera e propria (che avverrà il 31 dicembre 2020, e potrà essere rinviata una sola volta). I negoziatori britannici ed europei hanno trovato un accordo anche sulle cose su cui non sono d’accordo: la futura relazione fra le due parti, infatti, verrà negoziata soltanto durante il periodo di transizione. Oltre all’accordo vero e proprio, il Consiglio approverà anche una dichiarazione politica di 36 pagine che saranno la base per i negoziati sulla relazione futura.

Uno dei pochi punti che rimaneva da risolvere, di cui probabilmente si saprà qualcosa nelle prossime ore, è il diritto dei pescatori europei di accedere alle coste britanniche. È un tema che durante la campagna elettorale per il referendum era emerso molto spesso. I pescatori britannici sono stufi di ributtare in mare parte del pesce pescato per rispettare le quote europee, stabilite ogni anno per evitare che il mercato comunitario venga invaso dalla super-produzione di alcuni paesi (e per proteggere alcune specie di pesci considerate a rischio). I sostenitori di una Brexit “dura” chiedono l’abolizione delle quote e una severa restrizione dell’accesso alle acque britanniche per i pescatori europei.

Il problema principale, però, è che l’industria britannica della pesca non può fare a meno di dipendere dall’Europa: tre quarti del pesce pescato da navi britanniche viene venduto ai paesi dell’Unione, perché i pesci che si pescano più facilmente intorno alla Gran Bretagna – come lo sgombro e l’aringa – non piacciono molto ai britannici, che invece preferiscono altri pesci che vengono comprati all’estero. Un paese che esporta buona parte del suo pescato non può permettersi grandi margini di manovra: se anche il Regno Unito ottenesse l’uso esclusivo delle proprie acque, l’Unione potrebbe decidere di imporre dei dazi al pesce britannico, con gravissime conseguenze per l’intera industria. Per diventare autosufficiente, per dire, l’industria britannica della pesca dovrebbe convincere i britannici a mangiare più sgombro e meno tonno.

Della discussione avvenuta nel Consiglio si sa molto: un diplomatico europeo che ha parlato coi giornalisti a margine della riunione, ha detto che diversi stati membri se la sono presa con la Spagna per aver minacciato di bloccare l’intero accordo sulla questione di Gibilterra.
Politico ha visto un terzo documento che dovrebbe essere approvato stamattina, che contiene sia la richiesta di prendere spunto dalle leggi attuali per risolvere la questione della pesca sia la richiesta che in futuro il Regno Unito rispetti alcuni parametri europei per evitare di fare concorrenza sleale agli altri paesi (magari rilassando le norme sugli aiuti di stato).

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