'Ndrangheta, 20 anni all'avvocato De Stefano: "Era ai vertici della cupola" - Repubblica.it: "La ‘ndrangheta ha una propria direzione strategica in grado di determinare tattiche e linee di intervento per l’organizzazione tutta. E i suoi uomini adesso hanno un nome e un volto. Per i giudici di Reggio Calabria, l’avvocato Giorgio De Stefano, ex consigliere comunale Dc e noto penalista, cugino del noto boss Paolo De Stefano, è uno degli uomini di vertice della “cupola” della ‘ndrangheta e per questo dovrà scontare 20 anni di carcere, il massimo della pena nel procedimento con rito abbreviato. Così ha deciso ieri il giudice Pasquale Laganà di Reggio Calabria al termine del maxiprocesso “Gotha”, con una sentenza destinata a fare storia nel contrasto alle mafie in Italia. Per la prima volta è stato affermato non solo che la ‘ndrangheta è un’organizzazione unitaria, ma anche piramidale e gerarchicamente ordinata, dotata di un livello superiore e strategico che si colloca al di sopra dell’ala prettamente organizzativa e militare e che a questa detta la linea.
LEGGI ROBERTO SAVIANO: LA 'NDRANGHETA DA ESPORTAZIONE
Si tratta di un passo avanti fondamentale, destinato ad avere riflessi importanti sui processi in corso in Calabria, come su quelli aperti in tutta Italia che riguardano non solo la ‘ndrangheta, ma tutte le mafie storiche. La “cupola” riconosciuta ieri dalla sentenza è infatti quella che sarebbe stata chiamata in causa e ha deciso per tutta l’organizzazione in occasione dei grandi – e spesso sanguinosi – interventi delle mafie tutte nella storia d’Italia, come la stagione degli attentati continentali. Ma è anche il livello che tuttora stabilisce le macrostrategie economiche e finanziarie in Italia e all’estero, individua, recluta e struttura i massimi referenti al di fuori dell’organizzazione, ma che della ‘ndrangheta diventano strumento, come l’ex senatore Antonio Caridi, per questo a processo con rito ordinario.
Per anni i pentiti ne hanno parlato, definendola ‘ndrangheta “invisibile” o “di sostanza”, ma quella emessa ieri sera dal giudice di Reggio Calabria è la prima sentenza che riconosce l’esistenza della Santa, pietra angolare della ‘ndrangheta moderna e radice dell’impero costruito dai clan e che oggi ha estensioni e ramificazioni mondiali. “Ogni verità, anche quella processuale dico io, passa attraverso tre fasi: prima viene ridicolizzata, poi è violentemente contestata, infine viene accettata come ovvia” aveva detto, citando Shopenhauer nel corso della propria requisitoria il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, che insieme ai pm Stefano Musolino e Walter Ignazzitto ha coordinato l’inchiesta. Una citazione che aveva provocato qualche sorriso di scherno fra i legali, ma si è rivelata profetica alla luce della sentenza di ieri che scatta la fotografia più attuale e precisa della ‘ndrangheta, non solo nel suo storico territorio di origine, ma in quelle che sono le complesse, articolate, numerosissime propaggini operative in Italia e nel mondo.
Quella che emerge è una struttura complessa, che si è evoluta nel tempo anche grazie– hanno svelato l’ex Gran maestro Antonio Di Bernardo e pentiti come Cosimo Virgiglio – alla progressiva contaminazione con la massoneria. Un processo iniziato quanto meno quarant’anni fa e servito per creare una camera di intermediazione e incontro fra il potere mafioso e chi gestisce le leve istituzionali, economiche, politiche e finanziarie dell’Italia.Tutte strutture individuate al termine di un lavoro lungo oltre dieci anni e costruito su decine di inchieste, che mattone dopo mattone, hanno permesso di comprendere che “la ‘ndrangheta non finisce a Polsi”, dove l’ala militare della ‘ndrangheta converge per il summit annuale, fotografato dall’operazione Crimine. “Lì – ha spiegato Lombardo – la ‘ndrangheta inizia, non finisce”. Ma il lavoro di ricostruzione – dicono in maniera chiara i magistrati di Reggio Calabria - ancora non è concluso.
L’avvocato Giorgio De Stefano, condannato ieri come uno dei massimi esponenti della ‘ndrangheta tutta è solo uno degli elementi della cupola. Un altro avvocato, l’ex deputato del Psdi Paolo Romeo è a processo per lo stesso motivo, ma ha scelto di essere giudicato con il più lungo e complesso rito ordinario e per lui si attende ancora la sentenza. Ma nel medesimo livello di vertice, secondo una conversazione intercettata, formato da sette persone, ci sarebbero anche altri uomini, da cercare – è stato spiegato anche nel corso della requisitoria – tra gli esponenti delle famiglie che da sempre sono ai vertici dei tre mandamenti in cui la ‘ndrangheta si divide: i Piromalli per la zona tirrenica, i De Stefano-Tegano per Reggio città, i Nirta- Scalzone (la Maggiore) per la Jonica. Sono stati loro ad “avvertire la necessità di trasformare l'organizzazione di tipo mafioso, in una multinazionale del crimine organizzato. Non ieri, ma nel corso degli anni ’70” hanno spiegato i pm. E di quell’intuizione ne godono ancora i frutti, perché è la cupola oggi ad avere la prima e l’ultima parola sulle grandi strategie di tutta l’organizzazione. Ma i suoi uomini solo di rado, come dimostra la parabola dell’avvocato Giorgio De Stefano, agiscono in prima persona.
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LEGGI ROBERTO SAVIANO: LA 'NDRANGHETA DA ESPORTAZIONE
Si tratta di un passo avanti fondamentale, destinato ad avere riflessi importanti sui processi in corso in Calabria, come su quelli aperti in tutta Italia che riguardano non solo la ‘ndrangheta, ma tutte le mafie storiche. La “cupola” riconosciuta ieri dalla sentenza è infatti quella che sarebbe stata chiamata in causa e ha deciso per tutta l’organizzazione in occasione dei grandi – e spesso sanguinosi – interventi delle mafie tutte nella storia d’Italia, come la stagione degli attentati continentali. Ma è anche il livello che tuttora stabilisce le macrostrategie economiche e finanziarie in Italia e all’estero, individua, recluta e struttura i massimi referenti al di fuori dell’organizzazione, ma che della ‘ndrangheta diventano strumento, come l’ex senatore Antonio Caridi, per questo a processo con rito ordinario.
Per anni i pentiti ne hanno parlato, definendola ‘ndrangheta “invisibile” o “di sostanza”, ma quella emessa ieri sera dal giudice di Reggio Calabria è la prima sentenza che riconosce l’esistenza della Santa, pietra angolare della ‘ndrangheta moderna e radice dell’impero costruito dai clan e che oggi ha estensioni e ramificazioni mondiali. “Ogni verità, anche quella processuale dico io, passa attraverso tre fasi: prima viene ridicolizzata, poi è violentemente contestata, infine viene accettata come ovvia” aveva detto, citando Shopenhauer nel corso della propria requisitoria il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, che insieme ai pm Stefano Musolino e Walter Ignazzitto ha coordinato l’inchiesta. Una citazione che aveva provocato qualche sorriso di scherno fra i legali, ma si è rivelata profetica alla luce della sentenza di ieri che scatta la fotografia più attuale e precisa della ‘ndrangheta, non solo nel suo storico territorio di origine, ma in quelle che sono le complesse, articolate, numerosissime propaggini operative in Italia e nel mondo.
Quella che emerge è una struttura complessa, che si è evoluta nel tempo anche grazie– hanno svelato l’ex Gran maestro Antonio Di Bernardo e pentiti come Cosimo Virgiglio – alla progressiva contaminazione con la massoneria. Un processo iniziato quanto meno quarant’anni fa e servito per creare una camera di intermediazione e incontro fra il potere mafioso e chi gestisce le leve istituzionali, economiche, politiche e finanziarie dell’Italia.Tutte strutture individuate al termine di un lavoro lungo oltre dieci anni e costruito su decine di inchieste, che mattone dopo mattone, hanno permesso di comprendere che “la ‘ndrangheta non finisce a Polsi”, dove l’ala militare della ‘ndrangheta converge per il summit annuale, fotografato dall’operazione Crimine. “Lì – ha spiegato Lombardo – la ‘ndrangheta inizia, non finisce”. Ma il lavoro di ricostruzione – dicono in maniera chiara i magistrati di Reggio Calabria - ancora non è concluso.
L’avvocato Giorgio De Stefano, condannato ieri come uno dei massimi esponenti della ‘ndrangheta tutta è solo uno degli elementi della cupola. Un altro avvocato, l’ex deputato del Psdi Paolo Romeo è a processo per lo stesso motivo, ma ha scelto di essere giudicato con il più lungo e complesso rito ordinario e per lui si attende ancora la sentenza. Ma nel medesimo livello di vertice, secondo una conversazione intercettata, formato da sette persone, ci sarebbero anche altri uomini, da cercare – è stato spiegato anche nel corso della requisitoria – tra gli esponenti delle famiglie che da sempre sono ai vertici dei tre mandamenti in cui la ‘ndrangheta si divide: i Piromalli per la zona tirrenica, i De Stefano-Tegano per Reggio città, i Nirta- Scalzone (la Maggiore) per la Jonica. Sono stati loro ad “avvertire la necessità di trasformare l'organizzazione di tipo mafioso, in una multinazionale del crimine organizzato. Non ieri, ma nel corso degli anni ’70” hanno spiegato i pm. E di quell’intuizione ne godono ancora i frutti, perché è la cupola oggi ad avere la prima e l’ultima parola sulle grandi strategie di tutta l’organizzazione. Ma i suoi uomini solo di rado, come dimostra la parabola dell’avvocato Giorgio De Stefano, agiscono in prima persona.
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