sabato 24 febbraio 2018

Disoccupazione in Europa e in Italia, non tornano i numeri. La verità è un'altra

Disoccupazione in Europa e in Italia, non tornano i numeri. La verità è un'altra: "La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, rappresenta un parametro molto importante per capire lo stato di salute di un’economia. Anche perché un tasso di disoccupazione alto sottintende una problematica che da quello economico si può trasferire facilmente a un livello sociale. L’Italia, da questo punto di vista spesso ha vestito la maglia nera tra i partner europei.
E i recenti passi avanti, testimoniati anche dai dati pubblicati dall’Istat sembrano confermarlo. Ma tuttavia i risultati conseguiti dal Belpaese perdono parte della loro importanza se raffrontati a quello che sono riusciti a fare gli altri paesi dell’Unione Europea che possono spesso mettere sul banco risultati molto più incoraggiante anche per quel che riguarda la crescita del Pil e della produzione industriale.

Cosa non quadra
C’è qualcosa che non quadra, anche secondo l’economista Antonino Iero che ha pubblicato a riguardo un interessante articolo, insomma, nel quadro italiano. I conti sembrano non tornare e la situazione sociale, alla vigilia di elezioni politiche segnate dall’incertezza più totale, assomiglia più a una bomba che a un’opportunità.

Le perplessità scaturiscono da una semplice constatazione: rientrano nel novero degli occupati anche persone con più di 15 anni che hanno lavorato almeno un’ora nel corso della settimana. Va bene la rivoluzione del mercato del lavoro, va bene il Jobs Act, ma effettivamente considerare un impiego regolare quello che necessita una sola ora di lavoro settimanale è forse eccessivo.


Almeno curioso, se si prendono in esame i criteri che servono a stabilire quando si può parlare di disoccupazione. Criteri condivisi a livello internazionale. Per essere considerati disoccupati bisogna avere un’età compresa tra i 15 e i 74 anni, non essere occupati secondo la definizione prima specificata, essere disponibili ad accettare un’offerta di lavoro nell’arco delle prossime due settimane ed aver attivamente cercato un’occupazione nelle quattro settimane precedenti quella di riferimento.

La perplessità
Ecco, il dubbio che scaturisce da questa semplice considerazione riguarda l’Europa e l’Italia.
Probabilmente la crisi che ha messo a dura prova la resistenza e l’esistenza stessa di migliaia di lavoratori nel corso di questi ultimi dieci anni, ha avuto come conseguenze collaterali anche quello di una certa tendenza che si riscontra da questi dati a sottostimare l’effettiva diffusione della disoccupazione. D’altra parte, la condizione di sofferenza in cui si trovano le classi disagiate in Italia appare confermata da diversi indicatori, non ultimo dei quali la ripresa di apprezzabili flussi migratori verso l’estero: le iscrizioni all’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, registrate nel 2016 per solo espatrio, sono aumentate del 15,4% rispetto all’anno precedente, un incremento che ha interessato tutte le regioni ad esclusione del Friuli Venezia Giulia (nel 2016 si sono iscritte all’Aire per espatrio oltre 124 mila persone, ossia, in rapporto alla popolazione italiana, 2 ogni mille abitanti).

Poi vi sono altri dubbi....
Mentre da una parte si parla tanto di emigrazione e di andare a lavorare all'estero che sembra avere la disponibiità di molti italiani e non soo giovan, arriva una ricerca a sfatare questa idea che cerca di spiegare anche ulteriori elementi sulla soddisfazione sul lavoro.

Lo studio, basato su alcune migliaia di interviste, è stato realizzato da Findomestic insieme a Doxa e il primo dato che emrge in controtendenza con altre ricerche è che la metà degli italiani è disposta pur di restare vicino a casa a non avere un lavoro, rimanere disoccupati, e pure di fare a meno di un percorso professionale di crescita. E tre quarti degli uitaliani si discono contenti di esere vicini al propri ufficio, mentre solo il 20% rinuncerebbe a tutto pur di fare la professione dei propri sogni. Il dato centrale sono gli affetti, le persone care, la famiglia e gli amici e, poi, le proprie abitudini radicate sul territorio.

Oltre il 60% è contento del rapporto che vi è tra le propria vita e il lavoro, ma quelli che pensano
davvero dia ver raggiunto un livello ottimo di questo aspetto è solo il 10%. Il tempo libero è
fondamentale per le proprie passioni, la famiglia, praticare una attività sportiva e fare viaggi.
E non caso, i lavoratori tra i miglioramenti che vorrebbero fosseor offerti dai propri datori di lavoro
vi èu orario più gestibile personalmente e i taluni casi il lavoro a distanza, il telelavoro.
Altre richieste sentite sono i ticket e buoni pranzo, spesa, benzina e anche entrano in classifica i
coupon sconto, soprattuto di prodotti tecnologici. Avere sconti o servizi assicurati e sanitari compresi o come detto almeno con particolari accordi è richiesto da più di un terzo.

Quasi l'80% è contento di andare in ufficio e dell'ambiente in cui si trova così, ma non è così positiva la percezione di due elementi come lo stipendio dove oltre il 50% non lo ritiene adeguato, così la mansione che fa rispetto alle sue capacità e studi. E ancora poco meno del 40% pensa di lavorare in una realtà dove è possibile una crescita professionale e di avere oppurtuntà reali di carriera. Tra i 35 anni e i 44 anni, soprattutto, visti questi elementi si prova a cambiare azienda o almeno ci tenta il 60%.

E ulteriori paradossi" SEGUE >>>


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