venerdì 12 maggio 2017

In deficit di giovani e stranieri: ecco perché l'Italia non cresce più

In deficit di giovani e stranieri: ecco perché l'Italia non cresce più: "Inverno demografico e conti bloccano le possibilità di sviluppo. L'Italia deve investire sui giovani per evitare il collasso. Più interventi strutturali e meno bonus. La politica agisca in fretta

Ci sono segnali positivi sull’economa italiana, eppure non è facile essere ottimisti. Le Previsioni di primavera pubblicate dalla Commissione europea dicono che nel nostro Paese è in atto solo una «modesta ripresa» mentre nel resto del Continente «la crescita è salda». Anche l’indicatore Istat che anticipa gli andamenti economici ha segnalato ad aprile che la lancetta della crescita attesa è ancora in zona positiva, ma si sta purtroppo abbassando. Dopo dieci anni tra crisi e stagnazione, insomma, segnali di una vera svolta non se ne vedono. Ma il punto è: ci sarà mai una vera ripresa in Italia? La questione è seria, perché al di là delle variazioni dei diversi indici che accendono e spengono gli entusiasmi a ogni nuova diffusione, ci sono almeno due questioni da valutare per capire se il nostro Paese potrà conoscere una accettabile fase di sviluppo nel medio-lungo periodo. Il primo riguarda la ormai prossima fine della stagione degli stimoli monetari concessi dalla Banca centrale europea, il secondo l’emergenza demografica che iscrive l’Italia tra gli osservati speciali di questa epoca. Due argomenti che il mondo politico dovrebbe affrontare con maggiore convinzione rispetto a quanto fatto finora. Perché non ci sarà una crescita che a un certo punto calerà magicamente dall’alto e verrà a salvarci, ma ci sono riforme che vanno attuate subito per scongiurare il collasso.

Se finisce il "doping" della Bce
Il Pil dell’Italia dovrebbe crescere poco meno dell’1% quest’anno e poco più dell’1% il prossimo. Nel resto d’Europa l’espansione sarà più decisa, tra l’1,5 e il 2% a seconda dei Paesi. Il Pil non misura il benessere e la felicità, in ogni caso ci dice molto su quante risorse abbiamo a disposizione e se i conti pubblici sono o no a rischio. In linea con la ripresa europea anche l’inflazione sta risalendo verso quel 2% che rappresenta l’obiettivo della politica monetaria della Banca centrale. E questo è un immediato fattore di rischio. Presto l’istituto guidato da Mario Draghi incomincerà a ridurre gli acquisti di titoli di Stato e di bond societari, uno "shopping" partito nel 2015 e che al momento vale 60 miliardi di euro al mese. La fine del "Quantitative easing" (Qe) è una pessima notizia per un Paese come l’Italia il cui debito pubblico salirà ancora nel 2017 al 133% del Pil, perché renderà ulteriormente più pesante questo fardello. È grazie agli acquisti della Bce che Roma in questi anni ha potuto mantenere basso il costo del finanziamento del debito, tenere a bada lo spread e varare misure definite "espansive" come i bonus da 80 euro. Anche immaginando che il Qe venga prolungato per qualche mese nel 2018, il suo esaurimento pone alcune domande, considerato che le misure non sono state così espansive come si sperava e che i guadagni non sono stati usati per varare interventi strutturali a favore della competitività. Quale politica economica saremo in grado di attuare quando verrà meno il doping della Bce? Quali margini avremo per nuovi interventi fiscali senza scaricarne i costi sulle generazioni future? Quali sacrifici ci aspettano?

I costi dell'inverno demografico
Se la fine del favore monetario chiama in causa la gestione delle finanze pubbliche, il declino demografico rappresenta il maggiore ostacolo alle possibilità di una crescita sostenibile. La Commissione europea spiega che il Pil oggi è tenuto a freno dall’incertezza politica e dalla crisi delle banche. Ma questi in fondo sono fattori contingenti. La realtà è che nessun Paese che perde popolazione può immaginare di avere tassi di crescita soddisfacenti e nemmeno di migliorare gli indicatori di benessere. Dal 2015 i residenti in Italia hanno incominciato a calare, lo scorso anno la popolazione è scesa di altre 86mila unità. Le Previsioni demografiche Istat per il 2065 indicano che tra mezzo secolo l’Italia potrebbe avere 7 milioni di abitanti in meno rispetto ai 60 milioni di oggi, il Sud andrà spopolandosi a favore del Nord, l’età media salirà a 50 anni dai 44,7 attuali " SEGUE >>>

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