Vaticano - Bergoglio nomina 20 cardinali: «Siate esempio di carità per tutti» | mondo | Il Secolo XIX: "Città del Vaticano - La berretta rossa non è un’onorificenza, i cardinali sono «cardini» nella Chiesa di Roma, il programma per i nuovi porporati è l’Inno alla carità di san Paolo perché «nella Chiesa ogni presidenza proviene dalla carità, deve esercitarsi nella carità e ha come fine la carità. Anche in questo la Chiesa che è in Roma svolge un ruolo esemplare». Sono le parole che Francesco ha rivolto ai nuovi cardinali (foto) che oggi ha creato nel secondo concistoro del suo pontificato. Erano presenti in 19, perché l’ultranovantenne arcivescovo colombiano José de Jesús Pimiento Rodríguez non se l’è sentita di affrontare il viaggio a Roma e riceverà la berretta nei prossimi giorni a Manizales. Ed era presente, come già accadde un anno fa, anche Benedetto XVI.
Quella cardinalizia, ha spiegato Bergoglio, «è certamente una dignità, ma non è onorifica». Lo dice il nome che «evoca il “cardine”; dunque non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità. Voi siete “cardini” e siete incardinati nella Chiesa di Roma».
Il Papa ha quindi parafrasato l’Inno alla carità della prima Lettera di Paolo ai Corinzi, presentata come «la parola-guida per questa celebrazione e per il vostro ministero»: «Ci farà bene lasciarci guidare, io per primo e voi con me» da queste parole.
«Anzitutto san Paolo ci dice che la carità è “magnanima” e “benevola” - ha spiegato - Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo. Magnanimità è, in un certo senso, sinonimo di cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell’orizzonte delle grandi, perché “Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est”» (Non essere ristretti dallo spazio più grande, ma essere in grado di stare nello spazio più ristretto, questo è divino) ha detto Francesco, citando la frase incisa sulla tomba di sant’Ignazio di Loyola. «Benevolenza - ha aggiunto - è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene».
«L’apostolo dice poi che la carità “non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio”. Questo è davvero un miracolo della carità - ha osservato Francesco - perché noi esseri umani – tutti, e in ogni età della vita – siamo inclinati all’invidia e all’orgoglio dalla nostra natura ferita dal peccato. E anche le dignità ecclesiastiche non sono immuni da questa tentazione».
Ancora, il Papa ha ricordato che la carità «non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse. Questi due tratti rivelano che chi vive nella carità è de-centrato da sé. Chi è auto-centrato manca inevitabilmente di rispetto, e spesso non se ne accorge, perché il “rispetto” è proprio la capacità di tenere conto dell’altro, della sua dignità, della sua condizione, dei suoi bisogni. Chi è auto-centrato cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale “interesse” può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto è sempre il “proprio interesse”. Invece la carità ti decentra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo».
Francesco ha quindi invitato i cardinali a non adirarsi e a non tener conto del male ricevuto. «Al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi. E forse - ha detto - ancora di più rischiamo di adirarci nei rapporti tra noi confratelli, perché in effetti noi siamo meno scusabili. Anche in questo è la carità, e solo la carità, che ci libera. Ci libera dal pericolo di reagire impulsivamente, di dire e fare cose sbagliate; e soprattutto ci libera dal rischio mortale dell’ira trattenuta, “covata” dentro, che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi. No. Questo non è accettabile nell’uomo di Chiesa. Se pure si può scusare un’arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e liberi!»."
Quella cardinalizia, ha spiegato Bergoglio, «è certamente una dignità, ma non è onorifica». Lo dice il nome che «evoca il “cardine”; dunque non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità. Voi siete “cardini” e siete incardinati nella Chiesa di Roma».
Il Papa ha quindi parafrasato l’Inno alla carità della prima Lettera di Paolo ai Corinzi, presentata come «la parola-guida per questa celebrazione e per il vostro ministero»: «Ci farà bene lasciarci guidare, io per primo e voi con me» da queste parole.
«Anzitutto san Paolo ci dice che la carità è “magnanima” e “benevola” - ha spiegato - Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo. Magnanimità è, in un certo senso, sinonimo di cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell’orizzonte delle grandi, perché “Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est”» (Non essere ristretti dallo spazio più grande, ma essere in grado di stare nello spazio più ristretto, questo è divino) ha detto Francesco, citando la frase incisa sulla tomba di sant’Ignazio di Loyola. «Benevolenza - ha aggiunto - è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene».
«L’apostolo dice poi che la carità “non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio”. Questo è davvero un miracolo della carità - ha osservato Francesco - perché noi esseri umani – tutti, e in ogni età della vita – siamo inclinati all’invidia e all’orgoglio dalla nostra natura ferita dal peccato. E anche le dignità ecclesiastiche non sono immuni da questa tentazione».
Ancora, il Papa ha ricordato che la carità «non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse. Questi due tratti rivelano che chi vive nella carità è de-centrato da sé. Chi è auto-centrato manca inevitabilmente di rispetto, e spesso non se ne accorge, perché il “rispetto” è proprio la capacità di tenere conto dell’altro, della sua dignità, della sua condizione, dei suoi bisogni. Chi è auto-centrato cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale “interesse” può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto è sempre il “proprio interesse”. Invece la carità ti decentra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo».
Francesco ha quindi invitato i cardinali a non adirarsi e a non tener conto del male ricevuto. «Al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi. E forse - ha detto - ancora di più rischiamo di adirarci nei rapporti tra noi confratelli, perché in effetti noi siamo meno scusabili. Anche in questo è la carità, e solo la carità, che ci libera. Ci libera dal pericolo di reagire impulsivamente, di dire e fare cose sbagliate; e soprattutto ci libera dal rischio mortale dell’ira trattenuta, “covata” dentro, che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi. No. Questo non è accettabile nell’uomo di Chiesa. Se pure si può scusare un’arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e liberi!»."
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