Come Papa Francesco ha chiuso il Sinodo - Formiche: "Nonostante il gran parlare, spesso a sproposito, prima, durante e dopo, il Messaggio della III Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi (5-19 ottobre 2014), intitolato Amore coniugale, miracolo più bello, riassume la posizione condivisa dalla larghissima maggioranza dei padri sinodali ed è in perfetta linea con la Tradizione della Chiesa.Approvato a larga maggioranza, il documento contempla l’amore coniugale fedele e indissolubile e fa appello alle istituzioni affinché promuovano i diritti della famiglia naturale.«Tanti commentatori – ha affermato Papa Francesco nel suo discorso di chiusura del Sinodo (pronunciato sabato pomeriggio, 18 ottobre, durante la quindicesima e ultima congregazione generale dell’assemblea straordinaria dedicata alla famiglia) - hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio». «Il Sinodo – ha invece ribadito con forza il Pontefice – mai ha messo in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita». «La Chiesa – ha aggiunto Bergoglio – non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini”, una Chiesa “che non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone» (cit. in Movimento di spiriti. Papa Francesco conclude la terza assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi dedicata alla famiglia, in L’Osservatore Romano, 20-21 ottobre 2014, p. 5).SINODO: SOLO IL MESSAGGIO CONCLUSIVO PER CAPIRE COSA HA DETTO DAVVERO Oltre al Messaggio conclusivo del Sinodo, il Papa successivamente ha fatto pubblicare anche la “Relatio Synodi” che, contrariamente al primo, non è stata approvata con la maggioranza richiesta dei due terzi nei “punti caldi” su cui hanno invece concentrato l’attenzione i grandi media. La “Relatio”, quindi, va letta stando ben attenti a non attribuire alla Chiesa un pensiero che non appartiene al Magistero dottrinale tanto più che, su questi “punti caldi” (in primis l’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati), c’è stata non poca contestazione da parte di molti dei partecipanti al Sinodo.Anche per questo Francesco, nella chiusura del Sinodo, ha parlato di momenti di tensione e di tentazioni durante i lavori sinodali, ma ha nello stesso tempo sottolineato la grazia e la bellezza del confronto. Ha quindi ribadito che il compito del Successore di Pietro è quello di garantire l’unità della Chiesa, e quello dei vescovi di “nutrire il gregge” e accogliere chi è smarrito.“TRADIZIONALISTA” A CHI?Il Pontefice, sempre nel suo discorso conclusivo, ha messo in guardia dalla tentazione dell’irrigidimento ostile, «cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti – oggi – tradizionalisti e anche degli intellettualisti». E’ bene sottolineare quell’oggi, perché la definizione cui fa riferimento il Pontefice non intende certo squalificare tout court la parola “tradizionalisti”. Fior di santi, fra i quali ad esempio quel San Pio X spesso citato da Bergoglio da Arcivescovo di Buenos Aires (in particolare nei suoi messaggi ai catechisti), hanno utilizzato la definizione di “tradizionalisti” e “tradizionalista” in senso assolutamente positivo. Giuseppe Melchiorre Sarto (1835-1914), che è stato il 257º Vescovo di Roma e Pontefice della Chiesa cattolica dal 1903 alla sua morte, il 20 agosto 2014 è stato peraltro onorato dal Papa con un messaggio nello scorso agosto, quando a Venezia si sono tenute le solenni celebrazioni per il centenario della morte di Pio X.Nel passaggio sopra citato del discorso di chiusura del Sinodo, quindi, con tutta probabilità Papa Francesco ha inteso additare l’errore del farisaismo dei nostri tempi, tipico di quei cattolici che, sulla base di un rigorismo di facciata e di un fissismo teologico e pastorale, continuano ad arroccarsi sempre sulla lettera, senza aprirsi all’urgenza dell’apostolato ad gentes. Si tratta, in fondo, della tentazione di cui Bergoglio parla nel prosieguo del suo discorso, consistente nel «trascurare il depositum fidei considerandosi non custodi ma proprietari e padroni» che, spesso, coincide con l’altra, «di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa» e, così, «dire tante cose e non dire niente!»."
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