sabato 6 gennaio 2024

Perché i politici italiani non vogliono Mario Draghi in Europa

@ - Giorgia Meloni e Matteo Salvini non lo amano e gli rinfacciano la rete di relazioni. Il Movimento 5 Stelle lo ha azzoppato. E il Pd di Schlein si dimostra abbastanza timido.


Si apre con una spettacolare esibizione di miopia politica la nostra campagna elettorale per le Europee. Parola d’ordine, in entrambi gli schieramenti, sembra essere quella di azzoppare Mario Draghi.

Un gioco, del resto, al quale nessuno si sottrae da almeno due anni, quando prima sbarrarono la strada verso il Quirinale all’ex presidente della Banca centrale europea. Facendo poi cadere, per puro tornaconto elettorale senza riguardo alcuno per la situazione del Paese, pure il governo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella gli aveva caricato sulle spalle a causa dell’incapacità dei partiti di risolvere la crisi politica. In piena emergenza Covid.

E ora che il problema sembrava risolto dopo essersi liberati di una figura così ingombrante, ecco che circola il suo nome addirittura per il vertice delle istituzioni europee. Anche se la casella di cui si parla, la presidenza della Commissione europea, non è forse quella giusta. Più probabile (e logico) che si tratti invece della presidenza del Consiglio europeo, nel 2009 diventata elettiva e da allora ricoperta da un polacco, l’attuale primo ministro Donald Tusk, e da due belgi: Herman Van Rompuy e Charles Michel. L’ultimo dei quali, a dirla proprio tutta, non è apparso particolarmente all’altezza del compito. Memorabile la figuraccia al vertice con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, quando la presidente della Commissione Ursula von der Leyen venne lasciata senza poltrona perché donna, senza che Michel facesse una piega.

Fuori di dubbio, quindi, che la presidenza del Consiglio europeo avrebbe ora necessità di una bella iniezione di autorevolezza. Da questo punto di vista il nostro Mario Draghi sarebbe di sicuro la scelta migliore, sempre ammesso che lui sia disponibile. Ma fin qui la discussione è puramente accademica. Anche perché per arrivare a occupare quella posizione serve il voto della maggioranza dei 27. E se l’ex presidente della Bce risponde al requisito di base per guidare il Consiglio, cioè quello di essere stato capo di governo, a differenza dei suoi predecessori non è un politico. Nel senso che non è espressione di alcun partito. E non è un problema da poco.

Draghi non piace al Movimento 5 Stelle, che in quanto custode della moneta unica lo considerava il nemico numero uno. Né alla Lega di Matteo Salvini, per ragioni analoghe, che pure nel suo governo aveva come i grillini posti chiave. Basta dire che il ministro leghista Giancarlo Giorgetti, che nell’esecutivo Draghi era allo Sviluppo economico, occupa ora la casella più importante dell’esecutivo di Giorgia Meloni come responsabile dell’Economia.

Ma ancor meno l’ex presidente della Bce piace ai Fratelli d’Italia. Ossessionati come sono ancora adesso, a distanza di trent’anni, dalla storia del Britannia: il panfilo inglese sul quale salì l’allora direttore generale del Tesoro Draghi all’epoca delle privatizzazioni. E dopo il panfilo, il treno. Quello diretto a Kiev con Draghi in compagnia di Emmanuel Macron e Olaf Scholz immortalati in una celebre foto che fa dire a Giorgia Meloni, piccata, che «per alcuni la politica estera è stata farsi la foto con Francia e Germania quando non si portava a casa niente». Salvo poi cercare di rimediare goffamente a uno scivolone non esattamente patriottico: «Non è un attacco a Draghi ma al Partito Democratico che come al solito pensa che tutto il lavoro che il presidente del Consiglio Draghi ha fatto si riassuma nella fotografia con Francia e Germania».

Ecco allora il Pd. Con la segretaria Elly Schlein (riferendosi alla ipotetica successione di Ursula von der Leyen) puntualizzare che «il Partito democratico fa parte di una vera famiglia politica europea, il Partito socialista europeo. Sceglieremo insieme qual è il nostro candidato alla presidenza della Commissione europea e quello sarà il candidato che sosterremo. Non mi sembra che Draghi appartenga alla famiglia socialista europea». Chiusa lì.

Milano Finanza ha raccontato che a Enrico Letta è stato chiesto un rapporto sul mercato unico per il Consiglio europeo. Non soltanto per i suoi ottimi rapporti l’ex premier italiano ed ex segretario del Partito democratico avrebbe tutte le carte in regola per la presidenza del Consiglio. Magari anche la non ostilità della famiglia socialista europea, che sappiamo essere molto variegata. Ma non potrebbe contare sull’appoggio, fondamentale per un candidato italiano, del governo di Giorgia Meloni. E difficilmente, dopo le elezioni di giugno per cui non si prevede una schiacciante vittoria delle sinistre, sul sostegno della maggioranza degli Stati dell’Ue. Anche i possibili candidati dell’esecutivo Meloni, del resto, dovrebbero conquistare il consenso degli altri Paesi membri e non sarebbe facile: se il successo elettorale della sinistra è improbabile, nemmeno il cappotto delle destre e dei sovranisti può essere dato per scontato.

Dunque il rischio per l’Italia di ritrovarsi fra un anno con un pugno di mosche in mano, potendosi consolare al massimo con un commissario di seconda fascia dopo che Paolo Gentiloni avrà lasciato la casella dell’Economia, esiste eccome. Ma tant’è. Non è forse la specialità della nostra politica, quella di azzoppare i cavalli migliori per accontentarci dei ronzini?

Continuiamo così, facciamoci del male…

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