martedì 18 ottobre 2022

Sondaggi in Russia, l’opinione pubblica inverte la rotta sulla guerra in Ucraina

@ - Mentre la guerra continua a serpeggiare sul suolo ucraino, all'interno della Federazione Russa non mancano di essere raccolti e pubblicati dati di carattere sociologico sull'atteggiamento della popolazione nei confronti di quanto sta accadendo. Sondaggi di questo tipo sono stati recentemente diffusi da tre centri sociologici russi e da altrettanti progetti: VTsIOM – collegato a filo doppio all'amministrazione presidenziale – FOM, Centro Levada – politicamente indipendente – , Gruppo di ricerca Russian Field (RF), progetto Chronicles e un gruppo di sociologi indipendenti e specialisti IT denominato “Experiences”.

Nelle condizioni di regime autoritario imposto e di una guerra che ne aumenta l'aggressività, l'opinione pubblica è chiaramente sottoposta alla forte pressione della propaganda, della coercizione morale e della minaccia di rappresaglie. Il predominio del punto di vista ufficialmente approvato nei sondaggi deve essere interpretato dunque nei termini di un "consenso imposto", il che non esclude affatto la presenza di ampi gruppi di sostegno; semplicemente, occorre decostruire il bias della responsabilità collettiva, promuovendo l’individualità racchiusa nelle risposte.

Innanzitutto, si tratta della tendenza degli intervistati a dare risposte "socialmente approvate", cioè quelle che, secondo loro, sono "corrette" dal punto di vista della maggioranza. Un tipo specifico di questa distorsione, associato alla pressione di un ambiente illiberale (autoritario o totalitario), è quello della "falsificazione delle preferenze”, condizionate dalla pressione esercitata per i costi percepiti della slealtà al sistema.

Secondo queste condizioni, il sostegno alla campagna militare è stato espresso dal 50 al 75% di coloro che hanno accettato di rispondere a questi sondaggi nei primi mesi dell’operazione speciale. Il tipo di appoggio dipende fortemente dalla formulazione e dalle condizioni del sondaggio stessi, il che rivela l'"elasticità" della maggioranza pro-war in esso rappresentata. Dagli studi pubblicati emergono infatti tre diverse “fazioni” all’interno del campione analizzato.

La prima può essere descritta come quella della "guerra totale". Coloro che vi si riconoscono credono che l'Occidente non possa tollerare de facto l'esistenza dello Stato russo e per questo sono convinti che la NATO si stesse preparando a un'offensiva contro Mosca, cercando di distruggerla per mano dell’Ucraina.

C'è poi il partito della "guerra giusta", coloro che ritengono che i cittadini russi e russofoni dell'Ucraina orientale siano stati perseguitati dal "governo nazionalista ucraino" e che la Russia di Putin abbia il dovere di difenderli. Questa fazione è convinta che un’"operazione speciale" localizzata non comporti di per sé una guerra totale contro Occidente.

Il terzo gruppo è quello dei "conformisti". Queste persone non sono sicure degli argomenti usati per giustificare la guerra; pensano anzi che si sarebbe potuta evitare. Ma dato che la guerra, in Russia, si fa comunque, decidono di sostenerla. Quello che vogliono aggirare a tutti i costi è il confronto diretto col regime e con i suoi vassalli ideologici.

La mobilitazione “generale" si è rivelata però uno shock sia per il partito della "guerra giusta" che per i "conformisti". Minaccia il consenso che, fino a quel momento, era stato spinto in gola a tutti. Il cambiamento si è riflesso immediatamente nei sondaggi successivi al 21 settembre. Prima della mobilitazione, alla domanda "Qual è lo stato d'animo che nota di più tra le persone che la circondano?" si rispondeva con la parola "ansia" poco più del 30% delle volte. In seguito al decreto di mobilitazione, la frequenza di questa risposta è raddoppiata: ora si parla di "ansia" nel 69% dei casi.
L'opinione pubblica è sotto shock, mentre Putin sta cercando di allargare la fazione della guerra totale a spese dei moderati. L'idea dello Zar, dopotutto, è che tutti i russi siano legati dalla responsabilità per il sangue dei caduti, così da unirli come corresponsabili agli occhi del mondo intero.

Ma il trauma sociale della mobilitazione può anche giocare la partita contraria e allontanare le due fazioni moderate dal sostegno diretto della campagna militare. Prima della mobilitazione, il costo della resistenza e della protesta era più alto del costo del conformismo. Ora è vero il contrario. Sarà il comportamento futuro di questi ex sostenitori moderati della guerra - la cui visione del mondo è stata spazzata via dal corso degli eventi - a decidere il futuro dell'opinione pubblica russa.

Dopotutto, a quale guerra questa porzione di popolazione dovrebbe giurare fedeltà? La prima concezione di Putin della guerra era "Blitzkrieg", ovvero la guerra lampo, la presa di Kyiv in tre giorni. Poi è subentrata una seconda isteria, quella di limitare l'"operazione speciale" al sud-est dell'Ucraina. È diventato ben presto chiaro però che l'esercito russo non avrebbe potuto resistere su territori occupati così vasti. La concezione della guerra oggi è quella della mobilitazione. Il fallimento delle prime due strategie prepara il fallimento anche della terza, con Putin che cerca affannosamente di dare senso a una guerra che per la Russia non ne ha mai realmente avuto. Come si può chiedere allora ai soldati russi di battersi per stemperare la sconfitta, visto che una vittoria militare sembra ormai fantascienza? Una mobilitazione “parziale” non può bastare a rovesciare le sorti del conflitto; decretare quella generale sarebbe forse sufficiente a rovesciare lo stesso regime che l’attacco in Ucraina vaneggiava di salvare.

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