sabato 30 aprile 2022

Kherson, cadaveri russi e ragazze sfinite sotto un salice

@ - «Questi sono i loro corpi. I corpi di quei cani». Il capitano ucraino Andriy guarda verso l’orizzonte, carica la mitragliatrice, si piazza dentro la trincea. A cento metri, sei cadaveri in mezzo al prato. Non hanno nemmeno 20 anni. Andriy li gira uno per uno. Hanno gli occhi a mandorla. Addosso, le magliette a righe bianche e blu, quelle che di solito indossano i marines russi. I giubbetti antiproiettile disintegrati sono in mezzo al fango della trincea. Sulle piastre di metallo, la scritta San Pietroburgo in cirillico. «Sono buriati (originari della regione tra la Mongolia e la Siberia, ndr), quelli che violentano le donne a Kherson e nei villaggi, sono milizie che i russi usano per il lavoro sporco», dice Andriy sputando per terra.

Alcol e tabacco
Linea del fronte, tra Mala Shestiryna e Vysokopillya, oblast di Kherson. «Qui nemmeno i generali si azzardano a venire. Hanno paura di essere uccisi». Tutto intorno, villaggi deserti, solo qualche uomo a proteggere gli animali. «Sono rimaste solo 50 persone, ma ci sono anche donne e bambini», spiega Oksana, capitano delle forze ucraine, 42 anni. Anton e Artur, agricoltori, entrambi sulla sessantina, sono sfollati da un villaggio occupato. «La prima cosa che gli occupanti chiedono sono alcol e tabacco. Puzzano, sono sporchi. Non sono russi. Due di loro hanno iniziato a sparare in aria e hanno portato le ragazze in cantina. Poi sono usciti e hanno sparato ai maiali».

Maria e le altre
Poco più a nord, vicino alla diga di Zelenodol’sk, il poliziotto Sasha appoggia il kalashnikov contro l’auto. Lancia il bastone al suo pastore tedesco. L’artiglieria ucraina ruggisce. È qui dove sono arrivate Nadiesda, Tatiana, Valentina, Luda, Maria, Tatiana e Alina. «Siamo partite alle cinque del mattino da Vysokopillya e Novovoznesenskoye (villaggi nell’oblast di Kherson, ndr)». Prima in bicicletta, con due borse a testa «tutto quello che potevamo prendere. Le auto non si possono usare perché le requisiscono. Poi abbiamo passato i check point russi, dove ci hanno sequestrato i telefoni. Abbiamo proseguito a piedi per 15 chilometri, sotto i bombardamenti». Ora sono sedute all’ombra di un salice. Da sole, «perché agli uomini non è consentito lasciare la regione. I russi minacciano di reclutarli e, se escono, devono andare a combattere con gli ucraini». Le donne stanno aspettando di salire sull’autobus per Kryvyj Rih. Sono esauste. Ma trovano la forza di raccontare.

«Rubano tutto»
«Abbiamo vissuto due mesi in cantina, senza acqua, luce, gas e elettricità. Per il cibo ci aiutavamo tra vicini. I russi rubano tutto dai negozi, dalle case, poi ridistribuiscono a chi vogliono». Maria piange. Ha 70 anni almeno. «C’erano i ceceni, ma anche gli uomini con gli occhi a mandorla. Sono loro quelli che ci facevano più paura. Hanno messo la pistola in bocca al marito di una mia amica». Racconti che rimbalzano di casa in casa, di telefono in telefono. Parlano di donne «violentate sotto gli occhi di tutti. E nessuno si è preso cura di loro perché gli ospedali non funzionano più». Riferiscono di case sequestrate dagli «occupanti» e poi restituite piene di mine. Kherson su cui i russi stanno stringendo la morsa, dopo averla occupata nei primissimi giorni dell’invasione. Kherson, dove continuano le manifestazioni degli attivisti che si oppongono all’invasore. E dove i militari di Mosca dicono di voler introdurre il rublo a partire da domani, come annunciato ieri dal vicepresidente dell’amministrazione militare e civile della regione, Kirill Stremousov, appena nominato dalle forze del Cremlino. «La divisa circolerà insieme alla grivnia». Poi la moneta ucraina diventerà «carta straccia».

Telefoni e moneta
«Hanno già messo una loro rete telefonica e mandato in onda il loro canale tv», spiega un uomo dell’intelligence ucraina. Da giorni, i russi minacciano di tenere un referendum per annettere la città alla Crimea. «Ma gli uomini che sono rimasti difenderanno le loro case fino alla fine». A Kryvyj Rih, 50 chilometri più a nord sulla H-11, il governatore militare Oleksandr Vilkul e il vicesindaco Sergey Miliutin, amico del presidente Zelensky, hanno le facce provate. «Avevamo organizzato un corridoio umanitario da Kherson, era arrivata luce verde anche dal lato russo. Sa cosa hanno fatto? Prima hanno catturato il capo del convoglio, poi hanno usato gli autobus con dentro i civili come scudi umani per attaccarci», racconta Vilkul mentre la gamba sotto il tavolo non smette di muoversi. «Abbiamo già accolto 50.000 persone. E continueremo a farlo». Sotto il salice, Nadiesda, Tatiana, Valentina, Luda, Maria, Tatiana e Alina si guardano. «Noi non siamo nazisti. Perché ci stanno facendo questo?», chiedono. Verso la linea del fronte Sasha scruta il cielo. Il pastore tedesco continua a correre tra la strada e la diga. Un altro rombo. «Questo colpo è in arrivo, meglio spostarsi».

Fumo nero
Pochi chilometri più avanti, delle biciclette abbandonate, un’auto bruciata, una sedia a rotelle e qualche calesse. «Sono i mezzi di fortuna che gli sfollati hanno usato per scappare». Di scatto Sasha si gira. Un altro boato e una colonna di fumo nero, dietro la collina. «È così da settimane, ormai, questa guerra non finirà mai».

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