domenica 31 gennaio 2021

I primi dieci giorni della presidenza Biden

@ - Oltre a firmare un sacco di ordini esecutivi ha cambiato un po' di cose nella Casa Bianca e ribaltato diversi approcci di Trump.


Da circa dieci giorni gli Stati Uniti hanno un nuovo presidente, molto diverso dal suo predecessore. Le differenze fra Joe Biden e Donald Trump non si limitano ai provvedimenti presi o all’approccio nei confronti degli elettori e dei propri seguaci: in questi giorni i giornali americani stanno raccontando i vari aspetti in cui l’amministrazione Biden sta cercando di segnare una netta discontinuità, non solo simbolica, con quella in carica fino a pochi giorni fa.

Uno dei cambiamenti più visibili all’interno della Casa Bianca, per esempio, è stata l’installazione di vetri di plexiglas nell’ala riservata ai collaboratori più stretti del presidente, per limitare l’eventuale diffusione del coronavirus. Tutti i dipendenti della Casa Bianca sono inoltre obbligati a indossare una mascherina e sono regolarmente sottoposti a test del tampone. Alcuni di loro, sebbene entrati in carica da pochi giorni, sono stati subito destinati allo smart working per evitare di affollare da subito gli uffici.

Biden ha tenuto così tanto alle precauzioni contro la pandemia che i vetri in plexiglas sono stati installati durante la cerimonia di giuramento, il 20 gennaio. Sono tutti cambiamenti piccoli ma lontanissimi dall’approccio dell’amministrazione Trump, nota per aver minimizzato a più riprese la pandemia – tanto che i collaboratori di Biden hanno lasciato intendere che non esistesse alcun piano per gestire la somministrazione di massa del vaccino – e in cui solo negli ultimi tempi indossare la mascherina era diventata una consuetudine.

Un altro tratto distintivo dell’amministrazione Trump fu quello di lasciare scoperti centinaia di incarichi nel governo federale, soprattutto nei primi tempi: un po’ per l’approccio minimalista dei Repubblicani nei confronti delle autorità centrali – che accusano spesso di interferire negli affari statali e locali – un po’ perché in seguito a un’iniziale rimozione dei funzionari e dipendenti assunti dalle amministrazioni Democratiche non seguì una estesa campagna di assunzione. «A un certo punto per l’amministrazione Trump lasciare incarichi vacanti era diventato un punto d’orgoglio, con l’eccezione del Dipartimento della Difesa e di quello che si occupa dei reduci», ha notato il New York Times.

L’amministrazione Biden, al contrario, fin dai primi giorni «è arrivata a Washington non solo con un programma per ogni dipartimento e agenzia, ma con grafici che spiegavano esattamente chi dovesse fare cosa», continua il New York Times. In tutto sono già stati riempiti un migliaio di incarichi di nomina politica nei vari organi federali, circa un quarto dei posti disponibili. Nelle prossime settimane la transizione sarà facilitata dal fatto che i Democratici hanno ottenuto il controllo del Senato grazie alla vittoria nei due ballottaggi delle elezioni in Georgia: dato che le nomine dei Segretari, cioè i capi di ogni dipartimento, vengono approvate a maggioranza semplice dal Senato, gli incaricati non dovranno passare per settimane di lunghissime e rischiose audizioni.

Fra i nuovi arrivati la più esposta è stata sicuramente Jen Psaki, il nuovo capo dell’ufficio stampa della Casa Bianca. Psaki ha 42 anni ma lavora in politica da una vita: fu la giovanissima addetta stampa di Barack Obama durante la campagna elettorale del 2008, poi ricoprì varie posizioni nella Casa Bianca fino a diventare responsabile della comunicazione fra il 2015 e il 2017.

Psaki ha ripreso la decennale tradizione di tenere conferenze stampa giornaliere con i corrispondenti dei principali media che seguono la Casa Bianca, interrotta dall’amministrazione Trump per via del suo approccio ostile nei confronti dei giornali. Psaki ha anche spiegato che durante la pandemia cercherà di garantire lo spazio necessario a esperti e consulenti del governo in materia di sanità, in modo da garantire aggiornamenti costanti dal punto di vista scientifico e sanitario sulla pandemia. Lo storico dei presidenti americani Michael Beschloss ha definito Psaki «la prima addetta stampa non-stramba da quattro anni a questa parte».

Ma la discontinuità dell’amministrazione Biden si è manifestata anche nelle prime misure prese: nella prima settimana il nuovo presidente ha firmato una serie di ordini esecutivi che hanno smantellato quello che si poteva smantellare delle decisioni prese da Trump: alcuni sono stati puramente simbolici – come l’ordine che promuove le misure di prevenzione sul luogo di lavoro, o quello che impone la revisione delle politiche di Trump sulle case popolari – altre hanno avuto conseguenze concrete.

Nella presa di posizione più importante fin qui Biden ha reintegrato gli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi sul clima, e annunciato che ad aprile diffonderà nuovi obiettivi sulla riduzione di emissioni nette; ma ha anche cancellato il divieto per le persone transgender di servire nell’esercito, fermato la costruzione del muro col Messico, e cancellato il noto travel ban, le limitazioni alla concessione di visti per l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di alcuni paesi africani e a maggioranza musulmana. Insomma, ha preso una serie di misure che aveva promesso a più riprese in campagna elettorale, e cancellato alcune con un tratto di penna: per moltissime altre cose ci vorrà tempo.

Come ci vorrà del tempo per ricostruire i rapporti con i principali alleati degli Stati Uniti in politica estera, maltrattati e derisi a più riprese da Trump. Fra martedì e mercoledì il nuovo segretario di Stato Antony Blinken ha parlato con i ministri degli esteri di Canada, Messico, Giappone, Corea del Sud, Regno Unito, Francia, Germania, Israele, Australia, Filippine e Thailandia, cercando di riprendere i rapporti che durante l’amministrazione Trump si erano fatti molto tesi, soprattutto con Messico, Germania e Australia. Nelle sue prime dichiarazioni da segretario in carica Blinken ha anche segnalato una nuova apertura nei confronti dell’Iran, dicendosi disponibile a rientrare nell’accordo sul nucleare iraniano, e piuttosto freddo con l’Arabia Saudita, uno dei più stretti alleati degli Stati Uniti sotto Trump, a cui ha sospeso la vendita di alcune partite di armi.

Nelle prossime settimane, tradizionalmente le più favorevoli per un presidente neoeletto dal punto di vista del consenso, ci si aspetta che lavori a un nuovo piano di ristori e soprattutto al pacchetto da duemila miliardi di dollari promesso in campagna elettorale per accelerare la transizione verso un’economia più sostenibile e rinnovare al contempo le principali infrastrutture federali.


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