giovedì 11 giugno 2020

I georadar scovano Falerii Novi, la città romana sepolta nella valle del Tevere

@ - A Nord di Roma un team di archeologi britannici ha scoperto i resti di templi, bagni termali e un monumento pubblico dove sorgeva l'antico insediamento. "Usati strumenti per tutelare il territorio senza scavi costosi".

Gli archeologi non hanno dovuto sollevare nemmeno una zolla per scoprire dove si trovano i resti di templi, bagni termali e monumenti pubblici lì dove sorgeva l’antica città romana di Falerii Novi. Per sbirciare sotto il sudario che il tempo ha steso sopra le rovine di questo insediamento 50 chilometri a nord di Roma, fondato nel 241 avanti Cristo e abbandonato attorno al settimo secolo, si sono serviti di un georadar e per la prima volta hanno mappato così una città intera. Le prospezioni hanno restituito gran parte della pianta di una città un tempo fiorente, che ora sarà possibile studiare, “a fette temporali”, senza per forza dover ricorrere a lunghi e costosissimi scavi.

Lo studio è a firma di un team di scienziati delle Università inglese di Cambridge e di Ghent, pubblicato su Antiquity, e svela, oltre ai segreti di Falerii Novi, anche come le tecniche di rilevamento non invasivo, unite insieme, possano servire per sapere in anticipo cosa c’è sotto il terreno e a programmare le scelte non solo di enti di ricerca e studiosi, ma anche di pubbliche amministrazioni, nella gestione del territorio, delle infrastrutture e dei beni culturali.
La Nuova FaleriiLa storia di Falerii ha coperto l’arco di quasi un millennio: “Falerii Novi fu fondata dai Romani nel 241 avanti Cristo, dopo la rivolta dei Falisci, il popolo dell’Etruria meridionale che occupava la zona - spiega a Repubblica Alessandro Launaro, docente di Archeologia classica a Cambridge e co-autore dello studio - i Romani li spostarono da Falerii Vetere al nuovo insediamento. In un punto più esposto, meno protetto ma meglio collegato”.

Siamo in piena valle del Tevere, vicino a Civita Castellana, a due passi dalla attuale Falerii Novi, frazione di Fabrica di Roma, in provincia di Viterbo. A dominare quello che sembra un normale appezzamento di terreno, c’è l’abbazia di Santa Maria in Falerii. Attorno ad essa un recinto di pietra è quel che rimane delle antiche mura. Sotto, le vestigia della Falerii che fu.

La mappa ottenuta dalla prospezione con il magnetometro nel 2000 a confronto con la mappa radar (foto: L. Verdonck)

I radar e l’eco della storiaQui, Lieven Verdonck della Ghent University, ha trascinato per due estati, come un contadino, il georadar sull’erba guidando un quad. Il macchinario spara onde elettromagnetiche e ne ascolta l’eco dal sottosuolo, in quella che somiglia a una scansione. A seconda di come rimbalzano le onde, lo strumento ‘disegna’ le anomalie, i segnali di quello che da centinaia di anni si trova là sotto, da pochi centimetri sotto il piano di campagna fino a oltre un metro. “Il sito era stato studiato alla fine degli anni Novanta con la tecnica della magnetometria dal professor Martin Millett, che anche in questo caso è il responsabile delle indagini, - sottolinea Launaro - con la magnetometria si era identificata in pianta il sistema dei quartieri, le strade e gli edifici principali. Ma il georadar raggiunge un livello di risoluzione impensabile, ed è molto più chiaro a quale profondità si trova quel che vediamo”.
I templi, il monumento e i bagniRispetto all’immagine di venti anni fa, le linee si sono fatte più nette, la risoluzione più affilata e precisa. Dal nuovo disegno, ripulito dal 'rumore' grazie all’aiuto dei calcoli al computer, sono emerse delle sorprese: “Abbiamo scoperto un tempio (vicino alle mura nei pressi della porta meridionale, ndr) che non conoscevamo. Dalle immagini emerge così nitido come se fosse disegnato a matita - spiega Launaro - del teatro conoscevamo la posizione ma non la pianta con questa precisione. Due strutture potrebbero essere interpretate come bagni pubblici. E poi un doppio portico su tre lati, aperto su una corte e su due strutture che potrebbero essere fontane, tipo ninfeo. Non c'era nessun sentore che un edificio di tali dimensioni potesse trovarsi lì, vicino a uno degli accessi”.

La mappa radar del tempio appena scoperto (foto: L. Verdonck)
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È un primo spaccato, ancora abbozzato ma di grande suggestione, di una città dalla vita attiva, pubblica e commerciale. Al centro, dove si congiungono i due assi viari, c’è il foro, accanto quelli che Millet interpreta come edifici pubblici. Ci sono almeno due strutture che potevano essere, a giudicare dalla pianta, bagni o terme. Condutture portavano acqua in buona parte della città, compresa quella che poteva essere una piscina, sempre pubblica, dove gli abitanti potevano ristorarsi, fare il bagno o ammirare i pesci.

La mappa del complesso termale (foto: L. Verdonck)
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Piccoli centri in garaUn apparato di edifici e servizi che potrebbe sembrare molto grande rispetto a un centro tutto sommato piccolo: “Eccezionale? Secondo me no, più studiamo queste città meno note, più ci rendiamo conto che questi caratteri erano diffusi anche nei centri più piccoli. È come mi aspetterei una città romana, perché c’era anche una forte componente di campanilismo - aggiunge Launaro - c’era competizione. I membri influenti della società, con azioni di evergetismo, costruivano terme, monumenti, mettendoci il loro nome sopra. Era un modo per dimostrare benessere rispetto alle altre città, influenza, e fare carriera a Roma. La gente girava, osservava, e c’era la volontà di fare le cose meglio degli altri, alzare il profilo. E siccome l’inventario delle cose era ben definito, troviamo dappertutto terme, teatro e piscine”.

Accanto a questi, fusi in un contesto urbano senza quartieri definiti nettamente, le case private. “Grandi case di ricchi erano accanto a quelle dei poveri, anche a Pompei - suggerisce il ricercatore italiano a Cambridge - perché i notabili avevano un rapporto stretto con i loro clientes”. La struttura urbana non ricalca gli standard urbanistici tipici di altre città, così come l’articolazione dei mercati e i complessi termali sono “più elaborati architettonicamente di quello che ci si aspetterebbe da una città così piccola”, scrivono i ricercatori.
L'antica città nascostaUna delle caratteristiche dei georadar è ascoltare l’eco da diverse profondità. Questo ha permesso di sondare le rovine “a fette”, e ulteriori studi potranno rivelare qualcosa in più sulla storia dell’insediamento. A cominciare dalle spoliazioni avvenute in età tardoantica, quando fu abbandonata. Oppure il probabile abbattimento di un edificio su uno dei lati del foro, per far largo al decumano, la strada principale da est a ovest.
La fine e la salvezza di Falerii NoviAttorno al 700 d.C. la città fu abbandonata e spoliata. I motivi possono essere diversi, ma potrebbe essere stata ‘vittima’ del corso della storia. Una specie di ritorno al passato: “In epoche meno stabili politicamente si tende ad arroccarsi in siti più protetti come Civita Castellana - conclude Launaro - Falerii Novi era nel mezzo di una piana, una posizione ben collegata e utile, in periodo di pace. E spesso queste città abbandonate venivano usate come cave. Da lì venivano prese tegole o pietre per costruire monasteri, chiese o altre città. Poi le macerie venivano distribuite e i campi come questi tornavano a essere coltivati. Fino a che nell’800 non si è ricominciato a riscoprire le rovine”.

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Nascosti spesso sotto pochi centimetri di terreno alluvionale, l’arativo è un velo sottile che aratri potenti possono squarciare con facilità. Anche per questo, indagini al georadar e magnetometria, saranno strumenti utili in mano agli studiosi per evitare lunghi sforzi spesi in saggi stratigrafici, andando “alla cieca” o scavi dispendiosi (il terreno su cui sorge Falerii Novi, per esempio, è privato). “Sono anche strumenti di tutela - conclude Launaro - una volta studiata, metteremo un atlante a disposizione delle istituzioni che saranno in condizione di monitorare lo stato e gli interventi che si possono eseguire. Un esempio banale, condutture idriche o per la fibra. Sarà uno strumento per pianificare gli interventi futuri, soprattutto in aree che non sono evidentemente archeologiche” e nelle quali è più alto il rischio di fare a pezzi ciò che rimane del lontano passato. Accadrà la stessa cosa per il sito di Interamna Lirenas, vicino a Cassino, per il quale lo stesso Launaro sta conducendo le ispezioni con il georadar e il cui studio sarà in pubblicazione nel 2021.

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