@ - Dopo quasi un secolo la Santa Sede smantella la rete di holding svizzere creata in seguito ai Patti Lateranensi del 1929 e sopravvissuta, con i suoi segreti e i suoi capitali, a sette Papi. È un riassetto per certi versi storico che ai prezzi attuali di mercato potrebbe valere centinaia di milioni di euro.
Il tesoro estero dell’Apsa
È una parte del patrimonio estero dell’Apsa, la banca centrale del Vaticano. L’operazione si è conclusa pochi giorni fa: sono state chiuse contemporaneamente 9 società (immobiliari e finanziarie) di Losanna, Ginevra e Friburgo, con il trasferimento del loro patrimonio sotto una sola holding, la più “anziana”: la Profima Société Immobilière et de Participations di Ginevra, costituita nel 1926 dal banchiere della Comit, Bernardino Nogara, su incarico di Pio XI. Ma di quale patrimonio si tratta? La sua storia intreccia politica, diplomazia, finanza.
ll “tesoretto” originario — che poi è stato investito attraverso le società svizzere — era rappresentato dagli indennizzi assegnati alla Santa Sede (750 milioni di lire in contanti e un miliardo in buoni del Tesoro al 5%) nell’ambito dei Patti Lateranensi firmati da Benito Mussolini e dal cardinale Pietro Gasparri. In un panorama politico quanto mai incerto per l’avvento del fascismo, la Svizzera era stata scelta in un’ottica di «diversificazione del portafoglio», si direbbe oggi. Insomma, capitali portati lontano da Roma.
La cassaforte di Ginevra
Questo patrimonio di immobili, terreni e investimenti liquidi è ora confluito in Profima Sa e — secondo i documenti dell’operazione consultati dal Corriere della Sera — valutato 44,3 milioni di euro. Ma è un valore «storico», quindi non riflette gli attuali e ben più elevati prezzi di mercato. La cassaforte con sede a Ginevra non è però una società speculativa ma rientra nel patrimonio dell’Apsa, la potentissima istituzione che gestisce in Italia e all’estero i beni immobiliari e mobiliari di proprietà della Santa Sede, presieduta dal giugno 2018 da monsignor Nunzio Galantino che ha sostituito il cardinale Domenico Calcagno, dimessosi per raggiunti limiti d’età. I proventi di questa attività servono per sostenere le funzioni e le spese della Curia romana.
Da Bulgari a Padre Pio
La rete estera dell’Apsa è adesso concentrata in tre holding, ciascuna per Paese: Profima in Svizzera, la British Grolux Investments per la Gran Bretagna, e il polo francese di Sopridex sa, che controlla interi blocchi di edifici nel centro di Parigi. Non è un patrimonio sterile e statico ma amministrato anche per produrre reddito. Per fare due esempi estremi: sono dell’Apsa, in Italia, gli immobili dell’ospedale di Padre Pio a San Giovanni Rotondo così come, in Gran Bretagna, i locali al 168 di New Bond Street a Londra che ospitano il negozio di Bulgari. I primi sono concessi in comodato gratuito, i secondi a prezzo di mercato. Nessuna contraddizione, la mission in estrema sintesi è questa: guadagnare con i ricchi per aiutare i poveri.
Smontata la galassia degli anni Trenta
La Profima è diventata dunque l’unica cassaforte svizzera di quella galassia creata in gran parte tra il 1930 e il 1933 e che ora è stata smontata. Nel dettaglio sono state chiuse le quattro Société Immobilière Florimont nate nel 1930 (e ognuna distinta da una lettera dell’alfabeto: B - C, ecc), le tre Société Immobilière Sur Collonges del 1933, la più recente SI Rieu-Soleil (1973) e infine la Diversa sa (1930) che è, allo stesso tempo, la più ricca e la più impenetrabile. Solo in quest’ultima finanziaria è concentrato il 90% dei beni trasferiti alla Profima: 40,3 milioni di franchi svizzeri di attivi e 12,7 milioni di debiti verso terzi. Un portafoglio che un tempo comprendeva anche partecipazioni azionarie poi vendute, come quella nella casa farmaceutica elvetica Roche.
L’architetto e il professore
Nel lontano 1943 la Profima divenne persino azionista rilevante della banca colombiana Sudameris, nell’ambito di un patto parasociale tra Vaticano, l’allora Paribas e la Comit, sempre con l’ingegnere-banchiere dei papi, Bernardino Nogara, come regista finanziario. Ora ad amministrare la società ci sono, tra gli altri, il presidente Bernard De Sénépart, architetto, Giorgio Franceschi, un manager trentino appena nominato, e Franco Dalla Sega, docente della Cattolica, da sei anni «consulente speciale» dell’Apsa.
La linea di Papa Francesco
Quella dentro l’Apsa è un‘operazione di razionalizzazione nel solco della linea tracciata da Papa Francesco per la gestione delle sofferenti finanze vaticane: taglio dei costi (in Svizzera si passa a un solo consiglio di amministrazione, una sola sede, un solo revisore invece di dieci: è un taglio netto), più organizzazione, trasparenza e uso efficiente delle risorse al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa. Un’urgenza ancora più pressante dopo lo scandalo del palazzo di Londra, acquistato dalla Segreteria di Stato e al centro di un’inchiesta per corruzione.
I conti di Alves
Una missione ribadita nei giorni scorsi dal neo prefetto della Segreteria per l’Economia, il padre gesuita Juan Antonio Guerrero Alves, 60 anni, arrivato a gennaio 2020. C’è un problema di cassa, ha spiegato: la Santa Sede brucia in media 50 milioni di euro l’anno. Cioè il saldo negativo tra spese, per 320 milioni di euro, ed entrate, 270 milioni in buona parte dagli introiti dei Musei Vaticani e dalle donazioni dell’Obolo di San Pietro. Quest’anno, a causa del Covid-19 gli introiti saranno inferiori del 25%- 45% in base ai diversi scenari, quindi il buco si amplierà. Tuttavia, ha assicurato Alves, «il Vaticano non rischia il default».
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