@ - Il maresciallo libico, che da un anno prova senza successo a conquistare la capitale Tripoli, sta perdendo terreno e appoggi politici.
Lunedì scorso il maresciallo libico Khalifa Haftar ha annunciato di avere accettato un “mandato popolare” per prendere il controllo di tutta la Libia. L’annuncio di Haftar, che controlla un pezzo di paese e che da oltre un anno tenta senza successo di conquistare la capitale Tripoli, è stato accolto con sorpresa anche dai suoi alleati: ha provocato reazioni nervose di Russia e Francia, due degli stati che da tempo stanno appoggiando la sua campagna militare in Libia, ma anche delle autorità civili che governano le regioni orientali, e che si sono viste sottrarre la legittimità del loro potere.
«Il generale libico ha questo modo di fare ricorrente, specie quando si sente in crisi, e tenta di resettare la situazione con un coup – di teatro o militare, per lui sono più o meno la stessa cosa», ha scritto il giornalista Daniele Raineri sul Foglio. Haftar è infatti in difficoltà da diverso tempo: da qualche mese le milizie che comanda hanno subìto alcune significative sconfitte militari vicino a Tripoli, a causa soprattutto dell’arrivo in Libia dei soldati turchi, che si sono schierati a fianco dell’avversario di Haftar e che hanno cambiato le sorti del conflitto.
Haftar aveva annunciato la campagna militare per conquistare Tripoli lo scorso aprile. Nei suoi piani iniziali, l’offensiva si sarebbe dovuta concludere in un paio di giorni. Haftar sperava di poter sfruttare la sfiducia che le milizie presenti a Tripoli avevano sviluppato nei confronti del primo ministro Fayez al Serraj, capo dell’unico governo libico riconosciuto internazionalmente e considerato legittimo dall’ONU, e che ha sede proprio a Tripoli. Nonostante i numerosi appoggi internazionali, in particolare di Emirati Arabi Uniti, Russia, Francia ed Egitto, Haftar non era però riuscito nel suo intento e aveva iniziato un lungo e sfiancante assedio alla capitale che dura ancora oggi.
Negli ultimi mesi Haftar sembra però avere perso forza sia politica che militare, soprattutto a causa dell’intervento turco e di una serie di scelte abbastanza discutibili.
A gennaio, per esempio, Haftar aveva preso il controllo delle infrastrutture petrolifere della Libia orientale e aveva bloccato le esportazioni di greggio, che sono la più importante fonte di reddito per lo stato libico. La mossa, ha scritto l’Economist, gli si è però rivoltata contro: a pagare gli stipendi dei funzionari statali della Libia orientale, quella controllata da Haftar, è infatti la banca centrale libica, organizzazione che riscuote le entrate del petrolio. «Il generale sta puntando una pistola contro la propria testa», ha detto Tim Eaton, analista di Chatham House, think tank che ha la sua base a Londra. Il blocco delle esportazioni ha esasperato diversi leader civili di Tobruk, centro di potere della Libia orientale, che già da un po’ si lamentavano della gestione delle risorse di Haftar, che con le sue campagne militari consuma un terzo del budget a disposizione del governo.
Alle critiche interne si sono aggiunte anche le recenti sconfitte militari subite nella guerra contro Serraj e i suoi alleati. Le milizie di Serraj, appoggiate dalla Turchia, hanno riconquistato una serie di città che collegano Tripoli al confine tunisino, e che in precedenza erano finite sotto il controllo di Haftar. Hanno inoltre confinato le milizie nemiche all’interno della base militare di al Watiya, la base operativa di Haftar nella Libia occidentale, e hanno assediato Tarhuana, città che si trova tra Tripoli e al Watiya. «La perdita di queste posizioni potrebbe rovinare la campagna di Haftar nell’ovest del paese e portare a una divisione della Libia», ha scritto l’Economist.
Dopo l’annuncio di lunedì con cui ha detto di avere accettato il “mandato popolare” di prendere il controllo di tutta la Libia, Haftar ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale, che però non è stato accettato dalle milizie di Serraj.
Il giornalista Patrick Winter ha scritto sul Guardian che l’annuncio del cessate il fuoco potrebbe essere il risultato delle pressioni straniere su Haftar: «I suoi sostenitori gli hanno detto che aveva superato il limite e che avrebbe dovuto cedere alle pressioni internazionali che chiedevano una tregua nei combattimenti, e che solo così [Haftar] avrebbe recuperato il terreno diplomatico perduto». Un’altra ipotesi è che il maresciallo ha pensato che una pausa nei combattimenti gli avrebbe dato il tempo di riorganizzare le proprie linee di rifornimento, duramente colpite dagli ultimi mesi di guerra.
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