@ - L'inviata rapita nel 2005 a Baghdad parla della liberazione di Silvia Romano: "Può essere solo una calma apparente. Non basta una vita per superare il trauma di un sequestro".
Giuliana Sgrena; Silvia Romano
“Lo choc non passa così. Nei primi momenti è impossibile valutare. Può essere solo una calma apparente. Non basta una vita per superare il trauma di un sequestro”
Così la liberazione di Silvia Romano viene commentata dalla giornalista Giuliana Sgrena, rapita il 4 febbraio 2005
mentre si trovava a Baghdad, in Iraq,
per realizzare un reportage.
Sulle pagine de La Stampa, l’inviata del Manifesto afferma:
“Uscire da una situazione del genere comporta un nuovo trauma che richiede una complessa elaborazione” [...] “La mia storia è un po’ diversa da quella di Silvia, ma non riuscivo ad afferrare l’idea di essere libera” [...] “Ricordo i sorrisi di altri sequestrati subito dopo la liberazione. Io non riuscivo a sorridere... Può essere una serenità di facciata perché nell’immediato sei travolta da avvenimenti”.
Sul sequestro e la liberazione, Giuliana Sgrena offre la sua visione.
“Vieni ributtata in un altro mondo e questa uscita ti traumatizza di nuovo. Durante la prigionia hai convissuto con i tuoi carcerieri in una situazione completamente diversa. E in determinati ambienti fa molta differenza essere donna [...] Se la prigionia avviene tra uomini diventano macigni le normali esigenze femminili. Anche il ciclo è un disagio grave”.
A chi le chiede cosa rimanga dentro una persona vittima di sequestro, la giornalista risponde:
“Uno choc perdurante dal quale non ti liberi facilmente”.
Silvia Romano in Italia, le prime parole:
"Sto bene, fisicamente e mentalmente"
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