@ - Alla fine, la costanza (o l’assenza di alternative) premiano sempre. Dopo tre giorni, svariati tweet e parecchi retroscena i ministri delle Finanze Ue sono riusciti a raggiungere un accordo per un «pacchetto di aiuti senza precedenti» nel contrasto alla crisi innescata dal coronavirus.
Ora la proposta passa al Consiglio europeo, la litigiosa istituzione che riunisce i capi di Stato e di governo, per la sua adozione. Ma in cosa consistono le misure concordate nella notte del 9 aprile? Sui titoli giornalistici si è parlato, variamente, di pacchetto da 500 o 1000 miliardi di euro. Sono veri entrambi, quindi facciamo un po’ di ordine.
Step numero 1!
L’Eurogruppo ha concordato tre misure che ammontano effettivamente a oltre 500 miliardi di euro, per la precisione 540:
● il cosiddetto Sure, la «cassa integrazione europea» da 100 miliardi di euro (se siete confusi, Francesca Barbieri spiega tutto nei dettagli)
● uno strumento della Banca europea per gli investimenti destinato a fornire 200 miliardi di euro di liquidità alle imprese
● linee di credito fino a 240 miliardi di euro dal Meccanismo europeo di stabilità, a condizioni più vantaggiose di quelle fissate finora (ad esempio una linea di liqiduità fino al 2% del Pil senza condizioni, dice il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri)
Step numero 2!
E i coronabond? Che fine hanno fatto? La Francia, spiega Beda Romano, ha proposto di “tradurli” un fondo comune (ribattezzato Recovery Fund) per raccogliere altri 500 miliardi di euro senza passare per la mutualizzazione dei debiti pregressi. Totale: 1000 miliardi, appunto, sempre che il Recovery Fund non si spinga oltre.
Gli entusiasti hanno parlato di un «pacchetto senza precedenti», rivendicando l’unità dei leader europei in fase di crisi. I detrattori, incluso l’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, derubricano l’accordo a un compromesso ispirato dal blocco dei paesi centro-europei (si veda il ricorso al Mes, di fatto una forma di indebitamento rispetto agli altri stati membri). Un caso a sé l’opposizione italiana, convinta che il governo abbia «attivato il Mes» (approvato in realtà ai tempi del quarto esecutivo Berlusconi).
La verità potrebbe stare nel mezzo, come scrive Attilio Geroni parlando di un accordo a metà. Non il migliore possibile, ci spiega, «ma l’unico possibile» in questa Europa tumultuosa. Ora la palla passa al Consiglio, dove sono attesi emendamenti e nuovi scontri. La guerra, quella di politica economica, è appena iniziata.
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