martedì 14 aprile 2020

“Il Decreto Liquidità del Governo è destinato a fallire”. Money.it intervista Giulio Tremonti

@ - Intervista a 360° al Professor Giulio Tremonti. Focus su decreto liquidità, MES, ruolo dell’Unione Europea e dell’Italia nella lotta al COVID-19, prospettive economiche e futuro dell’Euro.


Decreto liquidità, MES, ruolo dell’Unione Europea e dell’Italia di fronte all’emergenza coronavirus: di tutto questo abbiamo avuto il piacere di poter parlare con Giulio Tremonti, nell’intervista in esclusiva che il Professore ha gentilmente concesso a Money.it.

I temi trattati sono davvero molti, altrettanti i dubbi. Più di un’ora di conversazione in cui il Professor Tremonti ci ha consentito di approfondire alcune importanti questioni, tutte di strettissima attualità.
Non è semplice, infatti, trattare questioni politiche, economiche, sociali e fiscali che si intrecciano in modo evidente con giudizi di merito, sempre complessi da fornire e valutare.

Domanda: Professore, nel suo ultimo libro “Le tre profezie. Appunti per il futuro”, recentemente aggiornato alla luce dell’emergenza globale che stiamo vivendo, Lei parla di tre diversi scenari che erano stati in qualche modo anticipati in passato: la deriva del capitalismo globale di cui parlava Marx, il potere mefistotelico del denaro e del mondo digitale di cui parlava Goethe e la crisi delle civiltà cosmopolita di cui parlava Leopardi.

Quali considerazioni possiamo aggiungere oggi alla luce dell’incredibile situazione che stiamo vivendo in Italia e nel mondo per effetto della pandemia in corso?

Risposta: La quarta profezia, dopo quelle da lei citate, è che ci hanno preso, pur non avendo l’iPad o il computer ma 200 anni fa avevano intuito o previsto quello che sarebbe successo se l’uomo avesse fatto quello che poi effettivamente ha fatto con la globalizzazione.

Cosa emerge dal passato? Indizi e miti millenari che in qualche modo ci indicano quello che sta succedendo.

Faccio un esempio, il paradiso terrestre: non crediamo certo alla storia della mela o del serpente ma nella Bibbia si legge “valicate le montagne, i popoli venendo da Oriente sono scesi nelle nostre pianure”; vuol dire che c’era stata una variazione drammatica nelle vite umane. Il paradiso prima c’è e poi no. Oppure un altro mito millenario è quello del diluvio universale, poi si sale sull’arca…

Ecco, io credo che tutte queste storie abbiano un fondo di verità.
  • La cacciata dal paradiso terrestre, rapportata ad oggi, potrebbe essere associata alla fine del trentennio dorato di illusioni prodotte dalla globalizzazione.
  • Adesso vediamo che c’è un lato oscuro nella globalizzazione. Peraltro già nel 1995, se mi consente di autocitarmi, ebbi modo di prevedere quanto sarebbe accaduto nel mio libro “Il fantasma della povertà”.
  • Pensare che fosse sufficiente la caduta del muro di Berlino o il libero mercato “per aprire agli uomini il giardino dell’Eden” non era realistico.

D: Sempre nel suo libro Lei parla di un’Unione Europea “troppo elitaria, troppo totalitaria, troppo finanziaria”. Evidenzia, inoltre, la necessità di un cambio di struttura, soprattutto finanziaria, che passi necessariamente da strumenti come gli eurobond, peraltro da Lei proposti in modo informale già nel 1994, poi ancora dal Governo Berlusconi IV di cui era ministro nel 2010.

Siamo nel 2020 e ancora se ne parla. Per quale motivo? E, secondo Lei, il prossimo Eurogruppo, fissato per la fine di aprile, riuscirà ad andare oltre mere dichiarazioni di intenti?

R: Quella degli eurobond è un’idea nata nel 1994 dal presidente Delors; poi fu ripresa dal Governo italiano durante il secondo semestre di presidenza europea del 2003. La misi dentro come idea per sviluppare l’Europa. Per inciso, Delors parlava di infrastrutture, io avevo aggiunto la difesa.

Ricordo la reazione inglese che fu: “questo vuol dire nation building, sarebbe la costruzione di un’Europa politica”, e disse di no. La ripresi nel 2010 con un articolo sul Financial Times e la discussione stava andando avanti.

Se lei guarda le carte nel marzo 2011 in due giorni il Parlamento europeo approva una mozione che riguarda il famigerato Mes e gli eurobond, relatore l’Onorevole Gualtieri, oggi Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Po arriva il Governo Monti e mai immaginato un’azione di quel tipo, fatta di colpo per salvare le banche tedesche e francesi e per usare i nostri soldi per distorcere l’attenzione come se la crisi fosse sui bilanci pubblici e non su banche mezze fallite in attesa del crollo.

Non vi erano solo i rischi sulla Grecia ma anche i rischi sui derivati.

Detto questo, quello che doveva essere uno strumento per fare gli eurobond è diventato uno strumento per la riscossione coattiva in Grecia, in nome dell’Europa ed in nome delle banche tedesche e francesi.

Tornando a quel tragico agosto del 2011, quando arriva una lettera “atipica”, è divertente che oggi il Professor Monti, beneficiario di quell’operazione, accusi la BCE di aver scritto quella stessa lettera…

Detto questo nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo dopo, con la “chiamata dello straniero”. Il Governo Monti, va in carica e fa due cose:
  • abbandona gli eurobond;
  • approva l’uso del fondo Salva Stati (MES) per “salvare” Grecia.

Guarda caso, per cinque anni il MES è scomparso dal dibattito pubblico nazionale ed europeo; riappare in autunno dello scorso anno con la proposta di trasformare il MES in un fondo salva banche.

E arriviamo all’opposizione delle nostre opposizioni.

Nel programma del Governo italiano di allora ma soprattutto nell’accordo europeo - basta leggere l’articolo scritto a quattro mani da me e Jean-Claude Juncker sul Financial Times nel 2010 - era chiarissimo che gli eurobond erano l’obiettivo.

Tenga conto che Juncker era il presidente dell’Eurogruppo. E poi ci sono le carte del marzo del 2011. In due giorni in parallelo si possono vedere prima il voto per fare gli eurobond e poi il voto nel Parlamento europeo che mette come obiettivo gli stessi eurobond.

Gli eurobond dovevano avere un fondo come base di partenza e la sequenza era “facciamo il fondo e poi gli eurobond”. Su tutto questo processo, che giusto o sbagliato che fosse aveva una sua logica, interviene il dolce colpo di Stato, il precipitare della crisi degli spread, la chiamata dello straniero in Italia, la quinta colonna interna.

Recentemente, durante una conferenza in Inghilterra, ho incontrato un importantissimo politico inglese laburista che mi ha detto:

Nel 2011 l’errore del Regno Unito è stato quello di abbandonare l’Italia alla discesa della Germania; una cosa che andava contro gli interessi stessi del Regno Unito che erano quelli di contenere la Germania”.

Per me fu una rivelazione, non ci avevo pensato ma se ci penso aveva ragione.

Perfino Christine Lagarde, all’epoca presidente del FMI, si è sentita di chiedere scusa alla Grecia, e qualcosa vorrà pur dire. Se senti il dovere di chiedere scusa ad un popolo vuol dire che qualcosa di atroce è stato fatto.

Il fatto vero è che il voto sul MES è arrivato sotto il Governo Monti; io ho firmato il MES solo come presupposto degli eurobond, tanto che si trattava di un voto provvisorio. Il voto definitivo è arrivato sotto lo stesso Governo Monti. Mai avrei firmato quell’accordo senza gli eurobond.

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D: Professore, dall’ultimo Eurogruppo pare sia emersa la volontà dei Paesi Europei di muoversi lungo quattro diverse linee direttrici per fronteggiare la crisi attuali e future:
  • MES senza condizionalità;
  • SURE, ovvero cassa di integrazione europea in favore dei lavoratori;
  • Intervento della BEI a sostegno delle imprese;
  • Recovery Fund finanziato dal bilancio UE per il rilancio dell’economia europea post ripartenza.
Il commissario agli affari economici europei Paolo Gentiloni ha fatto sapere che la Commissione Europea presenterà la sua proposta alla fine del mese di aprile. A Suo avviso cosa dovremmo aspettarci?

R: L’Europa che sarebbe potuta essere il tempio delle idee, come sarebbe potuto essere con gli eurobond, è in crisi.

L’idea dell’Europa attuale è fallimentare: non c’è nessun piano politico, ci sono solo diverse aperture di credito, è quella che io definisco l’“Europa a rate”.

  • Punto numero uno: quei soldi, tanti o pochi che siano sono comunque un prestito, vanno restituiti, con tassi e scadenze da definire.
  • Secondo: il meccanismo in sé va adattato perché è costruito sugli Stati che hanno l’euro ma adesso vanno adattati anche ai Paesi che, pur facendo parte dell’Unione Europea, non hanno adottato la moneta unica.
Poi è evidente che seppur finalizzato a logiche di carattere sanitario, il MES viene controllato e, alla luce delle regole attuali, il controllo dovrebbe essere sindacato anche dal Parlamento tedesco. 

Questo è quello che ha voluto il Signor Monti ed è una cosa angosciosa per l’Italia.

Peraltro, finita la fase controllata, ritorna il vincolo sui bilanci quindi ho l’impressione che sia tutto molto discutibile.

In ordine al SURE, il meccanismo di cassa di integrazione europea, si tratta davvero di quattro spiccioli e peraltro non sono contributi ma altri finanziamenti, che prima o poi si dovranno restituire.

Stesso discorso per la BEI. Anzi peggio, visto che la BEI ha già un sacco di perdite industriali sugli investimenti che ha fatto. Addirittura potrebbe aver bisogno di un aumento di capitale. Ormai l’Europa è diventata uno sportello finanziario.

Sul Recovery Fund (o Recovery Bond) c’è da fare un altro discorso. Si tratta di uno strumento che:
entrerebbe in vigore solo con l’approvazione del bilancio europeo, quindi dal 1° gennaio 2021, non prima (termine evidentemente troppo lungo rispetto alle impellenti necessità del momento, ndr);
si tratta di uno strumento terribilmente complicato e tutto da definire. E in ogni caso l’idea degli eurobond, come proposta nel 1994 da Delors e poi da noi, si basava sull’idea di finanziare investimenti europei. Adesso è debito europeo, e poi al capitale europeo così raccolto si aggiungerebbero debiti nazionali su cui gli Stati dovrebbero pagare degli interessi. Non mi sembra una grande idea.

D: Il Governo ha nominato Vittorio Colao, ex amministratore delegato di Vodafone, alla guida della task force per la ricostruzione economica e sociale dell’Italia. Cosa ne pensa e quali saranno le linee guida che questo gruppo di esperti dovrebbe seguire, a Suo avviso, per far ripartire l’economia italiana dopo questo shock?

R: Guardi non ne ho la minima idea e non sono in grado di valutare adesso.
Mi limito a dire questo: sul piano della liquidità finanziaria si è utilizzato un linguaggio (“potenza di fuoco”, “cose mai fatte”, ecc) che non corrisponde alla realtà ed a come tale piano potrà essere attuato.

Negli altri Paesi le imprese hanno avuto già la liquidità.

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Il piano italiano - si fa riferimento ovviamente al cd Decreto Liquidità - è destinato a fallire e tutto ciò è gravissimo.

Se non dai liquidità all’economia ci sarà il disastro.

Chi avrebbe dovuto versare l’IVA adesso ed è senza lavoro la verserà? No, probabilmente no. Ed il danno per lo Stato, in termini di gettito, sarà enorme.

Adesso si deve scegliere quando far ripartire l’economia e le imprese, sono scelte tragiche, occorre vedere quanto si rischia in termini economici ed in termini di pandemia.

Ma se la si mette giù in termini di economia pura: se l’economia va male ed il bilancio pubblico non dovesse reggere, gli effetti saranno di nuovo sulla sanità. Io ho fatto il ministro fino al 2011 e la spesa sanitaria era perfettamente in linea con quella europea. Chi è arrivato dopo per salvarci ha tagliato la spesa sanitaria.

Se mancano i soldi e la sanità non verrà finanziata, la conseguenza sarà lo scenario greco anche per l’Italia. Più profonda è la recessione, più lunga sarà la crisi, maggiori saranno le conseguenze sul tessuto sociale: disperazione, suicidi, malattia, depressione.

La scelta è tragica ma occorre scegliere: se l’economia va giù la conseguenza sarà (anche) la crisi sanitaria.

Un Governo che annuncia il decreto liquidità in un modo e lo realizza in un altro ha delle enormi responsabilità.

D: Professore, il Governo ha recentemente istituito anche una task force “anti fake news” che dovrebbe apporre una sorta di bollino di verità alle notizie in materia di COVID-19 e forse non solo. Ciò ha scatenato diverse polemiche, sia a destra che a sinistra, per l’inconsueta scelta di istituire presso Palazzo Chigi, e non presso un’autorità garante terza, una commissione di questo tipo.

Cosa sarebbe successo se la stessa scelta fosse stata assunta da uno dei Governi di cui Lei ha fatto parte, notoriamente accusati di aver avuto un rapporto difficile con il mondo dell’informazione in generale?

R: Francamente ai tempi non c’erano tutti i mezzi di adesso, la realtà allora era soprattutto sulla carta e sulla televisione, mentre adesso prevale il web.

Detto questo, l’ho trovato molto poco corretto in termini istituzionali, creare una commissione di questo tipo a Palazzo Chigi. Se proprio va fatta la fai su un’autorità terza, tra l’altro le nostre autorithy sono gestite da Camera e Senato. Francamente si tratta di un’“operazione di carattere albanese”.

Il che si somma a conferenze stampa truccate, dibattito inesistente, ecc.

D: Quindi a Suo avviso dietro la modalità di gestione delle ultime conferenze stampa del Governo e, in particolare, dei perenni ritardi rispetto agli orari annunciati vi sia una precisa scelta comunicativa?

R: Osservo solo che in perenne ritardo vi sono anche le elezioni. Adesso forse stiamo un po’ esagerando.
Peraltro la democrazia si sospende in caso di guerra. E questa contro il virus in qualche modo è una guerra. Tuttavia, c’è un limite a tutto.

D: Professore, nelle ultime settimane si sono fatti (o si è cercato di fare) diversi parallelismi tra la tremenda crisi del 2008 e quella di oggi. A Suo avviso cosa dovremo attenderci dal punto di vista macroeconomico alla ripresa, seppur parziale, della normalità?

R: Si è trattato in entrambi i casi di due forti colpi alla globalizzazione.

Questa è decisamente più grave di quella del 2008.

Quella del 2008 inizia come crisi finanziaria e poi diventa economica e poi sociale. Oggi ce la ritroviamo parzialmente come crisi politica.

Nel G20 del 2011 si confrontarono due proposte.

Da noi del Governo italiano arrivava la proposta per la quale si voleva considerare 2008 alle spalle, ma coscienti che la crisi non era finita, anzi sarebbe ritornata.

Per questo volevamo creare delle nuove regole per l’economia. Nel presupposto che non bastasse il free trade ma servisse il fair trade, occorresse cioè risalire a monte nella catena della produzione e stabilire delle regole valide per tutto il sistema.

Data questa logica abbiamo impostato una bozza di trattato per le regole dell’economia globale, votato all’unanimità dall’OCSE. Al punto 4) di quella bozza vi era la norma sugli obblighi di rispetto delle regole ambientali, le dice niente?

E non era solo fare attenzione ai fenomeni naturali, era evitare che la produzione potesse generare disastri ambientali.

Contro quell’idea, che si chiamava Global legal standard, si sviluppa il Financial Stability Board, che diceva “non servono regole per l’economia, è sufficiente introdurre qualche regola sulla finanza”.

Ha prevalso il secondo, che ci ha regolato altri dieci anni di globalizzazione sfrenata e adesso ne raccogliamo i frutti avvelenati.

In ogni caso, questa seconda crisi è inevitabilmente peggiore della prima, le conseguenze prodotte si sentiranno per molti anni davanti a noi (si pensi solo alla futura paura ed insicurezza che si avrà nel viaggiare).

D: Professore, alla luce di tutto quello che ci siamo detti, quale futuro vede per l’euro? Il progetto di moneta unica può rimanere ancor in piedi o rischia definitivamente di vacillare alla luce di questa crisi sanitaria che rischia diventare crisi economica?


R: Il progetto di moneta unica nasce con l’unificazione tedesca, per quanto fosse già “in laboratorio”. Lo scambio a quel punto era: Germania unita ma senza il marco con una moneta unica. Ed in qualche modo ha funzionato per un primo periodo. Adesso molti parlano di fine dell’euro, io mi limito a dire questo: 
  • può essere di tutto, molto dipende da noi, quando parlavo di eurobond volevo arrivare ad un’unità più politica che economica dell’Unione Europea.
  • In questo momento so che non è possibile unilateralmente uscire dall’euro per i singoli Stati, o meglio non saprei quanto ciò possa effettivamente funzionare, poi magari potrà accadere che tutto verrà giù e che i singoli Stati potranno essere costretti ad uscirne per salvarsi dalle macerie.
Detto questo, quando sento dire “torniamo alla Lira o altro”, penso che il problema è che la moneta di prima era stampata e firmata da un Paese, una classe politica e da un popolo davvero uniti nel dare fiducia a chi stampava e firmava la moneta. 

C’era un blocco culturale, politico, economico e sociale che garantiva la fiducia, elemento fondamentale.

Adesso sinceramente non vedo tutto questo, siamo un Paese che ha enormi problemi di divisione interna. Dopo la guerra, invece, eravamo uniti e c’erano gli Einaudi e i De Gasperi.

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