@ - Il presidente avrebbe stretto un accordo con un’azienda privata legata a un istituto di ricerca pubblico. Un miliardo di dollari, ma solo per i malati americani. Il governo di Berlino cerca di bloccare il piano.
Donald Trump sta cercando di acquistare da un’azienda tedesca in esclusiva per gli Stati Uniti, il brevetto di un vaccino contro il Covid-19. Il presidente americano avrebbe offerto 1 miliardo di dollari alla casa farmaceutica CureVac, che lavora all’antidoto ed è in fase avanzata di sviluppo. L’offerta incontra la ferma opposizione del governo tedesco, che invece cerca di far rimanere il vaccino in Germania, per farlo poi distribuire anche nel resto d’Europa. A fare la clamorosa rivelazione è il settimanale Welt am Sonntag, che cita fonti governative e spiega in dettaglio la manovra del capo della Casa Bianca, plastica dimostrazione di cosa Trump intenda quando parla di «America first».
Le dimissioni e l’incontro alla Casa Bianca
La vicenda ha i contorni di un giallo. CureVac è un’azienda privata con sede a Tubinga, collegata con il Paul-Erhlich-Institut, il Centro di ricerca federale per i vaccini e i farmaci biomedici. All’inizio di marzo Daniel Menichella, amministratore delegato della compagnia, partecipa a un incontro riservato con Donald Trump alla Casa Bianca insieme ai principali boss dei grandi gruppi farmaceutici americani. Otto giorni dopo, improvvisamente e senza alcun motivo apparente, Menichella si dimette dalla guida di CureVac. A sostituirlo è Ingmar Hoerr, l’uomo che Menichella aveva fatto fuori due anni fa. Nel comunicato ufficiale che annuncia il cambio al vertice, c’è un vago ma ora significativo riferimento al vaccino: «CureVac ha una grande squadra, competenze straordinarie e un grosso potenziale. Il vaccino contro il Covid-19 gioca un ruolo chiave».
La denuncia del governo
Ora le fonti del governo tedesco fanno chiarezza, denunciando apertamente l’operazione. Trump ha «comprato» Menichella e adesso sta mettendo sotto pressione la CureVac offrendo una montagna di denaro per avere il vaccino: «Ma soltanto per gli Stati Uniti», è la condizione posta dal presidente americano. Berlino sta cercando di impedirglielo. Non sarebbe un problema se si trattasse della ricerca del Paul-Ehrlich-Institut, che è di proprietà dello Stato. Ma la CureVac è privata e un divieto di vendita sarebbe possibile solo sotto circostanze particolare. Per questo i ministeri della Salute e dell’Economia stanno cercando in prima battuta un’altra strada, quella del negoziato con il gruppo di Tubinga: «Noi siamo molto interessati che vaccini e farmaci contro il Coronavirus vengano sviluppati in Germania e in Europa», ha spiegato un portavoce governativo alla Welt am Sonntag, confermando «contatti intensi» con CureVac. In pratica, il governo tedesco starebbe facendo una controfferta. Ma fino a venerdì sera, spiega il settimanale, non c’era accordo.
La via di Schengen
In caso di fallimento della trattativa, il governo di Berlino pensa tuttavia che il caso della CureVac potrebbe far scattare le circostanze eccezionali previste dall’accordo di Schengen. Siamo infatti in presenza dello sviluppo di un farmaco necessario alla sopravvivenza umana, che interessa la sicurezza nazionale. L’articolo 6 del codice di Schengen dice che i che controlli alle frontiere devono contribuire fra le altre cose, «a prevenire ogni minaccia alla sicurezza interna, all’ordine pubblico e ai rapporti internazionali degli Stati membri». Come dire che, cercando di assicurarsi un vaccino europeo unicamente per i suoi connazionali, Donald Trump è una minaccia alla nostra sicurezza interna e all’ordine pubblico. Sarebbe questa l’estrema arma legale, per decidere un divieto di vendita all’estero del vaccino. Ma la vicenda è molto più grande del successo o del fallimento del negoziato nello specifico caso. «Abbiamo di fronte una minaccia globale – spiega Michael Huether, capo dell’IW, l’Istituto per l’economia tedesca di Colonia – e non è ammissibile che un capo di governo cerchi di assicurarsi possibili farmaci esclusivamente per la sua popolazione». Detto altrimenti, un mondo dove domina la logica «my contry first», prima il mio Paese, non ha alcuna speranza di far fronte alle pandemie globali.
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