mercoledì 22 gennaio 2020

Il doppio gioco di Macron in Libia

@ - Parigi blocca la dichiarazione congiunta con Italia, Germania, Gb e Usa contro il blocco delle esportazioni di petrolio imposto da Haftar. Si incrina l'unità atlantica. Mattarella: "Noi con Serraj, ma dialogo con tutti".

A due giorni dalla conferenza di Berlino sulla Libia, sembra sfaldarsi l’unità atlantica di condanna delle minacce di guerra da parte del generale della Cirenaica Khalifa Haftar. La Francia, paese vicino al generale di Bengasi, ha bloccato la dichiarazione congiunta con l’Italia, la Germania, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti di condanna del blocco delle esportazioni petrolifere imposto da Haftar sabato scorso. Era la vigilia del vertice internazionale nella capitale tedesca che si è ritrovato unito a chiedere il cessate-il-fuoco in Libia, sebbene senza l’assenso del generale della Cirenaica e del suo rivale Fayez al Serraj, premier del governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu. Esce così allo scoperto il doppio gioco di Emmanuel Macron sulla Libia.

“La Francia sta bloccando l’emissione di una dichiarazione congiunta dei Paesi occidentali che condanni la chiusura di porti e campi petroliferi” imposta dal generale Khalifa Haftar “e che chieda che siano riaperti immediatamente”, segnala Ashraf Shah, un esponente di spicco vicino all’esecutivo del premier Fayez al Serraj. “Perciò i Paesi emetteranno dichiarazioni individuali che esprimono la loro posizione”, ha aggiunto su Twitter l’ex-consigliere politico della presidenza dell’Alto consiglio di Stato libico.

La notizia trova conferma a Bruxelles, da fonti diplomatiche.
Sul blocco ai pozzi petroliferi della Cirenaica, interviene Giuseppe Conte: “Dobbiamo evitare iniziative di questo genere, quindi dobbiamo fermare non solo azioni militari ma anche azioni come queste che possano mettere a repentaglio il recupero di risorse energetiche. Sono azioni che possono alterare il clima non meno delle opzioni militari, e io confido che anche su questo si possa ritrovare una piena convergenza tra tutti i paesi”. 

E la Farnesina diffonde una nota: “L’Italia esprime forte preoccupazione per le azioni che hanno portato alla sospensione delle attività estrattive e dei terminal petroliferi in Libia. Si tratta di uno sviluppo che sta già avendo serie conseguenze per l’economia e il popolo libici. Nel momento in cui proseguono gli sforzi internazionali per individuare una soluzione politica alla crisi, l’Italia richiama la necessità di mantenere l’integrità e la neutralità della NOC, unica compagnia legittimata a operare nel Paese”.

Anche l’ambasciata statunitense in Libia esprime “preoccupazione per il fatto che la sospensione delle operazioni della Noc (la compagnia petrolifera statale libica, ndr) rischi di aggravare l’emergenza umanitaria in Libia ed infliggere ulteriore inutile sofferenza al popolo libico. Le operazioni della Noc dovrebbero riprendere immediatamente”.

“I libici stanno commettendo un errore nell’utilizzare il petrolio nel conflitto - dice l’inviato dell’Onu in Libia, Ghassan Salamé - Spero che possano comprendere che il petrolio li sta nutrendo tutti. Ci stiamo muovendo velocemente per intraprendere un percorso economico e finanziario che garantisca un’equa distribuzione della ricchezza. E’ necessario, però, isolare il petrolio dalla politica”.

Intanto, alla luce della discussione del Consiglio Affari esteri di ieri a Bruxelles, l’Ue ha convocato una riunione straordinaria del Comitato Europeo per la Politica e la Sicurezza (Cops) sulla Libia, per venerdì. Ed è in quella sede che inizierà la discussione su come rimodulare l’operazione Sophia per controllare il rispetto dell’embargo sulle armi, deciso a Berlino. Si tratta di allargare il monitoraggio anche ai traffici illegali via terra e aria, non solo via mare.

Sophia è la prima missione navale europea nata nel 2015 contro il traffico di persone e armi nel Mediterraneo e finita ‘in sonno’ lo scorso marzo, cioè ancora esistente ma senza navi e dunque non operativa, per via della contrarietà dell’allora governo M5s-Lega. La missione infatti è a guida italiana e prevede l’obbligo di far sbarcare in Italia i migranti salvati in mare. L’allora ministro degli Interni Matteo Salvini impose lo stop, approfittando della indisponibilità degli altri paesi europei a metterci le navi.

Dal Qatar è il capo dello Stato Sergio Mattarella a ricordare che l’Italia sta dalla parte del Governo riconosciuto dall’Onu a Tripoli, sebbene auspichi il “dialogo con tutti”. Ecco le parole del presidente della Repubblica in visita a Doha, nel Qatar schierato al fianco di Tripoli: “Noi sosteniamo la legittimità del governo di Fayez al Serraj ma sosteniamo il dialogo con tutti, il punto di riferimento sono l’Onu e le scelte dell’alto rappresentante”. “L’ultima offensiva militare ha provocato morti, distruzioni, feriti, sfollati”, ricorda il Capo dello Stato, che ha ringraziato Onu e Germania per la conferenza di Berlino.

Con il blocco deciso sabato, Haftar ha provocato un taglio di esportazioni pari a 800 mila barili al giorno. Attraverso la chiusura dell’oleodotto Hamada-Zawiya, il generale ha fatto bloccare anche il giacimento di Sharara, il più grande di Libia, e quello di El Feel, operato anche da Eni, con una limitazione della produzione complessivamente di altri circa 400 mila barili al giorno. Fra pochi giorni, quando le cisterne di stoccaggio dei porti saranno piene, la produzione libica sarà limitata a 72 mila barili al giorno rispetto agli oltre 1,2 milioni della settimana scorsa secondo stime di un portavoce della Noc, la compagnia petrolifera nazionale libica, rilanciate dal Financial Times.

Il blocco alle esportazioni petrolifere dalla Libia orientale è un “un atto di rabbia e scontento del tessuto sociale e delle tribù che abitano nelle aree di produzione e degli impianti del settore petrolifero”, dice ad Aki-Adnkronos International Aref Ali Nayed, inviato speciale di Abdullah al-Thinni, premier del governo con sede nella Libia orientale che sostiene il generale Khalifa Haftar. “Bloccare le esportazioni petrolifere della Libia è un atto che sta danneggiando gli interessi a medio-lungo termine del Paese e dei libici”, riconosce Nayed, “nessuno davvero controlla il tessuto sociale, è un movimento spontaneo composto da tribù e anziani. E’ molto difficile dire quando le esportazioni saranno sbloccate”.

Il petrolio dunque resta a pieno titolo strumento di minaccia bellica sulla Libia e Macron evidentemente non ha nulla da eccepire. Restano sulla carta gli auspici della conferenza di Berlino dove la comunità internazionale - Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia, Usa, Russia, Turchia, Egitto, Algeria e altri - si è ritrovata unita nel sostegno alla tregua, alla ricerca di un cessate-il-fuoco permanente.

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