domenica 26 gennaio 2020

Davos, la tregua armata su dazi e Web tax


@ - Le temperature polari di Davos, sede annuale del summit del World economic forum, hanno raffreddato le tensioni tra gli Stati Uniti e la Ue. Per modo di dire, visto che il bilancio dell’evento è segnato da una altalena continua di strappi, dichiarazioni e accordi (più o meno) di pace

Da un lato sono volate minacce sull’imposizione di nuovi dazi contro un segmento già in bilico nell’Eurozona, l’auto. Dall’altro Washington è partita all’attacco della cosiddetta Web tax, salvo placarsi dopo un colloqui con il ministro francese Le Maire. Ma andiamo con ordine. 


Capitolo uno: l’accordo (?) commerciale Usa-Ue
Il primo fronte caldo è quello che si è aperto a margine del vis-à-vis tra Donald Trump e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il colloquio tra i due doveva servire a discutere i rapporti commerciali sull’asse tra Washington e Bruxelles, mai turbolento come dall’arrivo di «The Donald» alla Casa Bianca. 

Il presidente degli Usa vuole un accordo in tempi rapidi, e ha deciso di accelerare le pratiche con uno dei suoi espedienti preferiti: minacciare dazi, in questo caso agitando il vecchio spettro di tasse del 25% sull’auto europea. Von der Leyen ha incassato il colpo, dichiarando che un’intesa con gli Usa dovrebbe essere alla portata «in poche settimane». La previsione è sembrata a molti ottimista, per usare un eufemismo. 

Capitolo due: mai dire web tax
Il secondo fronte scomodo è quello della web tax , il sistema di tassazione internazionale per obbligare i colossi tech come Google o Facebook a pagare le imposte dove realizzano i propri ricavi (siete confusi? Qui è spiegato tutti). Gli Usa hanno reagito a suon di intimidazioni, paventando rappresaglie contro i tre paesi più avanzati nella tassazione dei gruppi digitali: Francia, Italia e Regno Unito. 

La più esposta dei tre era la Francia, minacciata con dazi per un valore di 2,4 miliardi di euro di beni. Il ministro Bruno Le Maire è corso ai ripari nel suo vertice con il segretario Usa Steven Mnuchin, strappando un accordo per lavorare a un «quadro condiviso». 

Round 1: Francia contro Usa. Il faccia a faccia tra Le Maire e Mnuchin ha rasserenato il clima, anche se la bilancia dell’incontro pende a favore degli Usa. La Francia ha accettato di congelare la tassazione sul web, rinviando allo sviluppo di un framework Ocse condiviso da tutti i membri del club dei paesi avanzati. Gli Usa si sono limitati a ridimensionare le proprie intimidazioni commerciali, ma nulla esclude che sfoderino la stessa arma alla prima indecisione. 

Round 2: la Ue contro gli Usa, la Ue contro la Ue. Il disgelo tra Francia e Usa non risolve, però, la tensione latente sullo stesso tema tra gli stessi Usa e l’intera Unione europea. Bruxelles aveva già lavorato a un progetto legislativo autonomo per tassare i colossi del web, salvo incappare nell’ostilità del blocco scandinavo e dell’Irlanda. Ora il disegno Ue è confluito in un progetto globale dell’Ocse, in teoria in dirittura d’arrivo entro il 2020. 

Nel dubbio, però, c’è chi mette le mani avanti. Mentre Parigi trattava con Washington, il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis ha messo in chiaro che Bruxelles lavorerà «a un suo progetto di web tax» nel caso l’Ocse ritardi troppo nell’approvazione di un testo condiviso. 

La sua approvazione richiederebbe prima un consenso interno agli stati membri, scatenando le tensioni di rito fra i paesi, poi un inevitabile faccia a faccia con gli Usa di Donald Trump. In entrambi i casi, potrebbero essere dolori

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