@ - Il suo libro-inchiesta «Giudizio Universale» (Chiarelettere) si basa su tremila documenti inediti. Il giornalista: «Offerte tracciabili e più sobrietà. Solo così la Chiesa si potrà salvare».
Il cuore dell’ultimo libro di Gianluigi Nuzzi, il quinto sul Vaticano, sta in una parola, «default», mai pronunciata nei secoli fra le sacre mura e ora messa nero su bianco dal Consiglio dell’Economia di Papa Francesco. In assenza d’interventi urgenti, si rischierebbe il fallimento entro il 2023. Su questo e altri tremila documenti inediti è costruito Giudizio Universale, edito da ChiareLettere. Scrive Nuzzi: «L’esercizio 2018, per la prima volta, è in rosso: risultato operativo -27%, finanziario -67%, di gestione –56%». Le sue 368 pagine sono il resoconto di come Bergoglio si affanni per risanare i conti, ma ottenga l’opposto, con spese lievitate del 244 per cento. Nel 2015, per aver rivelato in «Via Crucis» altri disastri vaticani, Nuzzi finì processato, e prosciolto, dal Tribunale della Santa Sede.
Nuzzi, ora che si aspetta?
«Un cambio di rotta: indagini su ciò che racconto. Ho depositato al tribunale vaticano una copia del libro: l’avevo fatto con “Peccato Originale” nel 2017 e ha portato a un’inchiesta per gli abusi sessuali sui chierichetti del Pio X».
Però, i primi a negare il rischio-default sono stati due prelati vicinissimi al Papa: monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa che amministra il patrimonio della Chiesa, e il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, grande elettore di Bergoglio. Come se lo spiega?
«Hanno aperto un dibattito ed è un passo avanti: ieri, mi hanno processato per un libro; oggi polemizzano. È ovvio che non piace far sapere che, ogni dieci euro di obolo, solo due vanno ai poveri e il resto a coprire buchi di bilancio, mentre esistono conti milionari intestati a cardinali o fondazioni fantasma».
Galantino lamenta «una lettura da Codice da Vinci».
«Il pessimismo sui bilanci non è mio, ma del loro Consiglio dell’Economia».
Maradiaga dice che lei così colpisce il papato.
«Mi attribuisce superpoteri che non ho. Bisognerebbe prendersela non con chi racconta i fatti, ma con chi li crea».
Lei scrive che i porporati paventano dimissioni di Papa Francesco.
«C’è il timore perché il Papa si arrabbia su queste cose tutti i giorni. È l’unico che sta in un bilocale mentre i cardinali vivono ancora in residenze da 600 metri. Quando è arrivato, gli immobili dell’Apsa non erano nemmeno censiti e, a oggi, 800 restano sfitti e i 3.200 locati lo sono, per lo più, a canone nullo o bassissimo».
Perché è così difficile intervenire?
«Basta ricordarsi di Ettore Gotti Tedeschi: allo Ior trovò appalti gonfiati anche del 700 per cento e fu impalato. Io non immagino una spelonca di ladri, ma qualche delinquente e meno soldi gestiti sempre peggio. Il Papa ha poteri ridotti e due freni: non può licenziare e i mezzi sono arcaici, con molti conti tenuti a mano».
Come legge le dichiarazioni del papa, quando dice che con le indagini sul palazzo di Londra «è la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro»?
«Più che una pentola, è una batteria di pentoloni: oltre al palazzo si indaga su altre operazioni gemelle. L’arrivo di un magistrato come Giuseppe Pignatone e di un consulente come Saverio Capolupo sono segnali importanti».
Come trova ancora fonti dopo che due sue — il maggiordomo di Ratzinger Paolo Gabriele e monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda — sono state arrestate, condannate e solo infine graziate?
«Ci sono ancora persone che, per amore della Chiesa, sono disposte a perdere tanto».
Che precauzione ha usato nel maneggiare i tremila documenti?
«Non li tenevo in casa, anche se il Vaticano, quando vuole sapere qualcosa, lo sa. C’è gente, dentro le mura, convinta che vi siano telecamere che leggono il labiale. Gli incontri defilati con le fonti sono la norma».
Quanto defilati?
«Sono anche stato bendato mentre mi conducevano in un appartamento. Per “Via Crucis”, invece, mi avvicinò un signore che si disse dei servizi italiani, sosteneva che c’era chi voleva ostacolarmi. È comparso due volte sulle scale del mio albergo a Roma».
Lei è credente?
«Per me, la chiesa sono i miei nonni che dicevano il rosario fra le mucche della loro fattoria. Fatico a identificare il Vaticano con questo. Vorrei lanciare una provocazione: se le offerte fossero tracciabili, la Chiesa si salverebbe in pochi mesi».
Vuole abolire anche lei il contante come il governo?
«Gli italiani non sono avari. Amano ancora la Chiesa, danno meno solo perché sono indignati dall’impunità».
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