mercoledì 6 novembre 2019

Via i Masai da Ngorongoro

@ - La sopravvivenza di almeno 90mila Maasai della Tanzania potrebbe essere minacciata da un piano governativo di divisione dell’area protetta del cratere Ngorongoro (Ngorongoro Conservation Area, NCA) in 4 zone, con proibizioni differenziate e crescenti per l’insediamento e le attività di pastorizia e agricoltura, tipiche dell’organizzazione economica delle popolazioni native.



Per di più, il piano, che dovrebbe avere piena attuazione nell’arco di sette anni, sarebbe stato sollecitato dall’Unesco, dall’Iucn (International union for the conservation of nature) e dall’Icomos (International council on monuments and sites). Lo denuncia l’Oakland Institute, un centro di ricerca americano specializzato in questioni relative ai diritti ambientali e in quelli legati al diritto alla terra delle popolazioni autoctone.

Secondo un comunicato stampa pubblicato il 10 ottobre sul suo sito web, lo scorso marzo, dopo un monitoraggio nella zona del Ngorongoro, le tre organizzazioni hanno chiesto al governo tanzaniano di agire per una miglior gestione e conservazione del sito. Il governo tanzaniano ha preparato un piano di divisione - Four Zone Management and Resettlement Plan - ritenuto valido dai promotori, ma che, di fatto, espelle i Maasai dalle loro terre ancestrali.

Un provvedimento in linea con “decenni di ingiustizie” perpetrate contro di loro, dal governo coloniale prima e da quello della Tanzania poi. I Maasai avevano accettato di stabilirsi nella zona del Ngorongoro alla fine degli anni cinquanta, evacuando il parco nazionale del Serengeti in cambio di sostegni allo sviluppo e di rappresentanza nell’autorità gestionale della NCA. Nessuna delle due promesse è stata di fatto mantenuta. Violenze alle comunità indigene in nome della protezione dell’ecosistema e a beneficio dello sviluppo turistico sono proseguite negli anni e si sono verificate anche recentemente.

In Loosing the Serengeti (La perdita del Serengeti), un rapporto pubblicato l’anno scorso dallo stesso Oakland Institute, si documenta la condizione di deprivazione economica e sociale in cui i Maasai vivono attualmente, segnata da insicurezza alimentare, malnutrizione e dipendenza da sempre più scarsi e meno appropriati aiuti alimentari. Una condizione in peggioramento a causa di crescenti limitazioni allo sviluppo delle loro attività economiche di base, pastorizia e agricoltura, e perfino dalla proibizione di costruire nuove e migliori abitazioni.

Appare particolarmente scandaloso che tra i sostenitori del nuovo piano di spostamento delle comunità indigene ci sia l’Unesco, organizzazione dell’Onu che ha come mandato quello di sostenere la pace attraverso la cooperazione internazionale nei campi dell’educazione e della cultura. La divisione dell’area del cratere Ngorongoro, che va a grave detrimento dei diritti dei Maasai, viola la stessa mission alla base del lavoro dell’Unesco, afferma il comunicato.

Il piano prevede l’estensione della zona di competenza dell’area protetta da 8.100 a 12.083 Km quadrati, includendo perciò nella divisione in 4 parti altre terre, come le riserve di Liolondo, per cui esiste già un contenzioso presso la corte di giustizia dell’Africa Orientale, e del lago Natron. Con l’inclusione di altri 4.000 km quadrati nell’area protetta del Ngorongoro viene drasticamente ridotto il territorio disponibile per la pastorizia e l’agricoltura delle popolazioni Maasai residenti, senza tener alcun conto delle loro già difficili condizioni, a causa dei precedenti provvedimenti restrittivi.

Il provvedimento studiato dal governo permetterebbe l’insediamento umano e attività di sviluppo economico in 2.140 Km quadrati, solo il 18% di tutta l’area considerata. Nella zona che godrà di protezione totale, non saranno permesse attività umane. Nella zona a protezione parziale, sarà possibile la caccia, per altro più a favore dei facoltosi turisti che la frequentano che delle popolazioni native. Nella terza zona prevista dal piano sarebbero possibili alcune attività, ma non l’insediamento umano. Questo proprio su consiglio dell’Unesco che considera “una grossa preoccupazione il loro impatto visivo”. Secondo i Maasai, l’area riservata al loro insediamento, pur essendo vasta, non avrebbe alcun corso d’acqua e sarebbe del tutto inadatta all’allevamento, loro attività economica identitaria.

In un recente articolo, citato nel comunicato stampa dell’Oakland Institute, Freddy Manong, capo dell’Autorità per la protezione dell’area del Ngorongoro, spiega chiaramente la logica, cinica, del grave provvedimento: “… anche se queste comunità dovranno essere evacuate … il nostro paese è ancora grande. C’è abbastanza terra fuori dalla riserva”. Il funzionario dice di essere consapevole dell’abuso e del fatto che dovrà affrontare molte critiche ma si dice convinto che alla fine le comunità indigene accetteranno il provvedimento che va nell’interesse di tutti i tanzaniani. E, secondo un rapporto governativo, l’interesse è misurabile in denaro. Se la gestione della riserva rimanesse com’è ora, in gran parte abitata dai Maasai, il governo perderebbe il 50% dei guadagni previsti nel prossimo futuro.

L’Unesco avrebbe addirittura preferito che si evacuassero tutti gli abitanti dal territorio dell’area considerata, lasciando intatti i villaggi, in modo da diffondere il sempre più richiesto “turismo culturale”, intendendo evidentemente quello morto dei musei a cielo aperto. Avrebbe osservato che non sarebbe la prima volta che i Maasai vengono spostati lontano dalle loro terre ancestrali e dunque, sembra dire, l’abuso può ben essere ripetuto. Nessun rispetto per i diritti dei popoli indigeni di cui l’organizzazione dovrebbe essere promotrice e che dovrebbe essere uno dei fondamenti del suo lavoro.

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