domenica 3 novembre 2019

PAPA GREGORIO MAGNO "UN MONACO"


Un GRANDE PAPA una GRANDE VISIONE


Papa Gregorio Magno

1. Gregorio Magno e il suo tempo[1]
Gli storici sono concordi nel fissare nell’anno 476 la dissoluzione dell’Impero romano d’Occidente; i popoli germanici, con a capo Odoacre, minacciarono e deposero l’ultimo Imperatore: Romolo Augustolo. Roma fu presa d’assalto dai Goti e depredata a più riprese da Alarico (410), dai Vandali di Genserico (455) e dai Suevo-Gotici alleati con i Burgundi, con a capo Ricimero (472). Sino a culminare nel Sacco di Roma del 546 ad opera di Totila. Successivamente, il generale Narsete e i Bizantini conquistano l’Urbe nel 554, mentre Giustiniano - l’Imperatore bizantino - concedeva la stipula della Pragmatica Sanctio ripristinando degli antichi privilegi che reintegrarono, ad esempio, le scuole di grammatica e retorica, di giurisprudenza e medicina; inoltre, con questo provvedimento il Papa fu eletto Vescovo anche dell’Impero d’Oriente. 

Tra la fine del VI e l’inizio del IX secolo Roma affrontò il suo massimo decadimento politico, economico e morale. La società era provata dalle numerose pestilenze e dalla povertà, le risorse economiche scarseggiavano e la città dovette fare affidamento alle risorse della Chiesa; a livello culturale, nonostante la riforma voluta da Narsete, furono chiuse le biblioteche e le accademie. Gregorio Magno si può considerare come dell’ultimo cittadino romano formato alla cultura classica. Agli esordi di questo declino visse Gregorio Magno (540 – 604) e all’apice della sua carriera ecclesiastica gli fu affidato il ministero papale (settembre del 590 - marzo 604). Egli apparteneva alla nobile Gens Anicia, perciò fu educato come un patrizio del suo tempo, ciò gli permi se di ricoprire cariche civili come quella di Praefectus Urbi. La sua cultura biblica e patristica risale al tempo della sua vita monastica nella casa sul clivus Scauri. Fu un esperto giurista per amministrare Roma, essendo destinato alla camera di alto funzionario. All’impegno politico, dunque, coniugò la sua vocazione religiosa indossando l’abito monastico nel 573, ma già nel 579, papa Pelagio II lo inviò a Costantinopoli presso l’Imperatore Tiberio in qualità di apocrisàrio[2]. Al suo ritorno venne ordinato diacono (588) e, dopo la morte del papa (7 febbraio 590), salì sul soglio per volontà del popolare. 

L’Imperatore Diocleziano (fine del III secolo) divise l’Impero Romano in due parti distinguendone una Pars Orientis e una Pars Occidentis. La divisione comportò a livello ecclesiologico la costituzione di numerose sedi apostoliche in Oriente, mentre in Occidente l’unica sedes apostolica era quella di Roma. In Occidente la lingua dominante fu il latino, in Oriente oltre alla koiné greca erano utilizzate anche altre lingue autoctone provenienti delle diverse regioni. Nonostante Gregorio Magno sia riconosciuto unanimemente come uno tra i più celebri Padri della Chiesa latina, era legato intimamente alla sua civiltà e si servì delle Sacre Scritture, lette alla luce della Tradizione Apostolica, calandole nella cultura greco-romana. Il suo soggiorno in Oriente gli permise di approfondire la grecità classica e bizantina. Si profuse strenuamente nell’opera dell’annuncio mantenendosi in un costante stato di “esodo” che gli permise di diffondere l’Evangelo in ogni cultura e civiltà con cui venne a contatto, nella consapevolezza di trovarsi nell’incessante transitorietà esistenziale varcando “nuove terre” e arricchendosi della presenza misteriosa dello Spirito.

2. La selezione al Commento morale a Giobbe 
Nella missione bizantina di Gregorio Magno, per quanto gli fu possibile, continuò a praticare la vita comunione assieme ad alcuni monaci che lo avevano raggiunto da Roma. Si divise tra la sua intensa attività diplomatica e quella di commentatore delle Scritture, iniziò in questo periodo l’esposizione del libro di Giobbe, sollecitato dal suo amico Leandro di Siviglia. Ne risultò un’opera monumentale e fu terminata a Roma, dove fece ritorno al suo monastero benedettino verso il 585, indugiando nella stesura sino agli esordi del suo pontificato. Per la prima redazione scelse il genere omiletico, imposto dai confratelli monaci in Oriente. Nel periodo di gestazione del trattato Gregorio Magno, a più riprese e con difficoltà, raccolse le note del suo pubblico per farle confluire in una riscrittura da cui prese forma un commentario composto da trentacinque libri, gli ultimi volumi conservano ancora le tracce di quell’originaria esposizione orale. Nel luglio 595 Leandro di Siviglia riceveva un esemplare dell’opera, con un ritardo dovuto alla lentezza della copiatura, segno che Gregorio aveva portato a termine la composizione molto tempo addietro, nonostante la sua salute cagionevole. 

Gregorio non evidenziò i problemi inerenti l’esegesi circa l’ispirazione e l’ambiente del testo, né disquisì su questioni di critica testuale. Il commento si basava su entrambe le versioni in uso al tempo: quella di san Girolamo, operata sul testo ebraico, e la Vetus Latina. Il senso letterale (historia) soggiace alla sua interpretazione, con il preciso obiettivo di oltrepassarlo. Nelle Omelie su Ezechiele tracciava un felice confronto tra il senso letterale e quello spirituale prendendo a prestito l’immagine degli otri vecchi delle Nozze di Cana (Gv 2,1-12). L’acqua versata da Gesù rappresentava il senso letterale ed il vino in cui fu cambiata l’acqua assumeva il suo valore spirituale. Il significato emerge in particolar modo dall’uso dell’allegoria. L’Antico Testamento è la prefigurazione del Nuovo, la figura Giobbe annunzierebbe quella di Cristo, mentre nella sua passione è vista la Chiesa perseguitata e al contempo trionfante similmente al suo Sposo nella Risurrezione. Agli amici di Giobbe venuti a consolarlo, ma in realtà lo oppressero, associò la figura degli eretici. Inoltre, Gregorio Magno colse l’occasione di ricordare le conquiste della Chiesa di Roma accostando la figura dei principi, i quali dopo aver perseguitato la Chiesa, dovettero sopportare il giogo della Croce, come il bufalo (o rinoceronte) mise il giogo al collo per lavorare nei campi. 

All’interpretazione morale, che originariamente doveva portare il titolo di Esposizione del beato Giobbe (Expositio in librum beati Job), gli fu attribuito il titolo di Moralia. Il suo tono moralista è applicato a margine nel corso delle lezioni del Breviario. Queste note imprimono il carattere all’opera attribuendole il suo segno contraddistintivo, molto più che nell’uso delle allegorie, conferendole il suo indiscusso ed imperituro valore. Gregorio Magno si presenta come un fine conoscitore dell’animo umano guidando alla pratica dell’ascesi cristiana il lettore di ogni tempo. Le sue pagine si possono annoverare tra quelle poste a modello di una somma teologia mistica.

3. L’esegesi di Gregorio Magno 
Appunti sull’escatologia 
Un aspetto particolare della spiritualità di Gregorio è la sua sicurezza di vivere negli ultimi tempi del mondo, con tanta maggior certezza in quanto le catastrofi naturali e politiche cui assisteva gli si configuravano come segni premonitori. Questa attesa escatologica trovò espressione nelle opere dottrinali come nelle lettere 
[1] Cf. San Gregorio Magno gli stati barbarici e la conquista araba (590 - 757), a cura di L. Bréhier e R. Aigrain, Ed. San Paolo, Torino 1971, 53-75. 
[2] Rappresentante stabile del papa a Bisanzio tra i secc. V e VIII con lo scopo di tutelare la Sede Romana in Oriente.




Piazza San Gregorio (Colle Celio Roma)

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