@ - Il ragazzino di 11 anni nel 2014 era stato portato in Siria dalla madre che si era unita allo Stato islamico. A Fiumicino accolto dal padre e le due sorelle. A casa grazie a Scip, Mezzaluna Rossa, consolato albanese e Croce Rossa. Rocca: "Ora salviamo altri bimbi, gli Stati prendano esempio dal nostro Paese".
“Te l’ho detto che tornavi a casa. Sei diventato grande, sei un ometto”. Il bambino è un po’ confuso, ma sorride. Il padre Afrim Berisha si scioglie in lacrime, accanto a lui le sorelline maggiori. Ore 6.40, Fiumicino, aeroporto: la missione è davvero compiuta. Alvin, undici anni, il bambino che sua madre voleva trasformare in un piccolo combattente per la jihad, è atterrato su suolo italiano, è a casa.
Tra non molto rientrerà verso Barzago, il comune di Lecco dove è nato e dove viveva con il padre, le sorelle e quella madre, Valbona - poi diventata foreign fighter - che lo aveva sequestrato, trascinato su un aereo e catapultato nell’inferno delle azioni di guerra Isis. Alvin aveva dovuto dire addio alla scuola, cambiare nome, ora era Yusuf, dimenticare l’italiano, parlare solo l’arabo.
Addosso la felpa e il cappellino della Croce Rossa, adesso è tornato alla sua vita : a tenergli la mano fino al’abbraccio con la sua famiglia - sotto la foschia e la pioggia di Fiumicino all’alba - è la polizia italiana e i funzionari dello Scip, il Servizio di cooperazione internazionale che ha portato a termine l’operazione insieme con le autorità albanesi, con il supporto della Farnesina, e la collaborazione del Ros di Milano, gli 007 dell’Arma già delegati dalla Procura di Milano.
“È una storia bellissima”, dice Alberto Nobili, il procuratore aggiunto antiterrorismo della Procura di Milano. “In 40 anni è la prima volta che tengo una conferenza stampa, e vedo solo sorrisi e volti felici”, sintetizza il generale Giuseppe Spina, del Servizio (interforze) della cooperazione internazionale.
E Francesco Rocca, presidente dei movimenti internazionali della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, prova a trarre l’eredità di questa incredibile vicenda: “Alvin è il nome di una speranza, da oggi nel mondo. Abbiamo dimostrato che noi come operatori umanitari possiamo agire, fare tanto, ma non da soli: solo se ci sono le volontà dei governi che si uniscono. Come in questo caso. E sono sicuro che questo produrrà frutti buoni: già oggi ci hanno chiamato altre Croce Rossa dal mondo, dalle Maldive, dall’Olanda, da altri Paesi. Se gli Stati si muovono, altri bambini possono essere strappati alla guerra”.
Il generale dei carabinieri Giuseppe Spina, direttore dello Scip, in avvio di conferenza stampa al Terminal 5 dell'aeroporto di Fiumicino ha riferito che la madre di Alvin, Valbona Berisha, è morta "presumibilmente" a luglio scorso in territorio siriano nel corso di combattimenti. La donna si era radicalizzata, arruolandosi nel Califfato e portando via dall'Italia cinque anni fa il bambino.
A proposito della complessa operazione che ha riportato a casa Alvin, il procuratore aggiunto Nobili ha sottolineato: "È il primo caso in Europa, di un orfano dei teatri di guerra, restituito ai suoi affetti, alla sua casa. Un gioco di squadra straordinario: coltiviamo l’orgoglio italiano, quando vogliamo siamo capaci di tanto. Da intercettazioni ricordo questo grido disperato di Alvin, che diceva al padre: “qui non mi fanno andare a scuola, mamma si veste come una ninja”, come a dire "sai papà sono finito in un mondo surreale". Ecco perché oggi si apre una pagina nuova, laggiù sono tanti i bambini da salvare”.
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