@ - Gli scenari Dopo il blitz, voci di dimissioni dell’intero consiglio dell’Agenzia finanziaria.
Il palazzo posseduto dal Vaticano a Londra si trova esattamente in Sloane Avenue numero 60, nel cuore del quartiere lussuoso di Chelsea. Ed è gestito dalla società 60 SA, acronimo che riprende il nome della strada. Dovrebbe valere, almeno nelle intenzioni, l’equivalente dei 160 milioni di dollari sottoscritti nel giugno del 2013 dalla segreteria di Stato vaticana con il fondo di investimento lussemburghese Athena del finanziere Raffaele Mincione: soldi che quando dopo un quinquennio il fondo venne liquidato non furono restituiti se non trasferendo la proprietà del palazzo; e con sospetti di perdite che hanno scatenato una vana rincorsa a recuperare almeno una parte del capitale uscito dalle casse papali.
Sloane Avenue 60: il palazzo dello scandalo
A oggi, quell’investimento a dir poco maldestro è uno dei pochi punti fermi dello scandalo che ha investito la Santa Sede, con la sospensione di cinque dipendenti. Per il resto, ci sono solo veleni in abbondanza.
Accreditano un Papa informato male per l’ennesima volta dalla sua cerchia di consiglieri. Evocano tensioni ai vertici della Segreteria di Stato tra il «primo ministro» Pietro Parolin e i sostituti di ieri e di oggi, il cardinale Angelo Giovanni Becciu e Edgar Peña Parra. Fanno filtrare voci inquinate di provvedimenti nei confronti dello stesso cardinale Becciu, che invece oggi vola tranquillamente in Brasile dopo avere incontrato Francesco la sera prima.
Anche se il ruolo del suo segretario «storico» monsignor Mauro Carlino, tra i cinque sospesi, riporta ai rapporti con il fondo Athena, al quale Becciu e monsignore Alberto Perlasca, allora controllore della cassaforte della Segreteria di Stato, arrivarono attraverso Credit Suisse e Ubs. Ma nella cerchia del cardinale si tende a limitare tutto allo scontro tra Peña Parra e lo Ior che non è voluto «venire incontro a una sua richiesta di trasferimento di ingenti somme di denaro su un conto londinese: un fatto circostanziato» del gennaio 2019. Si tratta di 150 milioni di euro che lo Ior avrebbe dovuto versare per tornare in possesso, secondo Peña Parra, del capitale inghiottito dal fondo Athena: richiesta reiterata fino a un incontro drammatico del luglio scorso.
Il conflitto Segreteria di Stato-Ior
Il blitz alla Segreteria di Stato e all’Aif, l’Agenzia di informazione finanziaria chiamata a vigilare e controllare sulla trasparenza delle attività dello Ior, sarebbe nato così: con la creazione di «un impianto accusatorio» contro Peña Parra, che però ha finito per colpire soltanto «il suo segretario e altri pesci piccoli», riferiscono in Vaticano.
Si tratta di un affresco desolante, e tuttavia riduttivo. Queste faide evocano un caos e un uso della giustizia e dei fondi della Santa Sede caratterizzati da una disinvoltura sconcertante. E portano più d’uno a parlare di crisi istituzionale e di terremoto negli equilibri vaticani.
Non è chiaro nemmeno quando e fino a che punto il segretario di Stato Parolin fosse stato informato da Papa Francesco dell’irruzione della Gendarmeria per sequestrare documenti e computer: pur essendo il suo «primo ministro». Lo stesso vale per l’Aif. Sembra che il presidente René Bruelhart abbia saputo della sospensione del suo direttore Tommaso di Ruzza soltanto a cose avvenute. E, dopo essersi lamentato per la genericità delle accuse al suo collaboratore e all’Aif, abbia chiesto che la sospensione del direttore venga spiegata o revocata al più presto. Si tratta di un capitolo delicato e scivoloso.
Un terremoto che può destabilizzare l’AIF
L’Aif è la proiezione esterna del Vaticano nelle istituzioni finanziarie internazionali. Si occupa di antiriciclaggio del denaro sporco. E il suo coinvolgimento nello scandalo che si sta consumando, sebbene limitato secondo le accuse al solo di Ruzza, rappresenta una macchia che non può non avere un impatto negativo all’estero.
Le ultime indiscrezioni parlano di un consiglio dell’Aif orientato a ottenere rassicurazioni sul modo di agire della giustizia vaticana; convinto che sia in corso un attacco da parte di gruppi di interessi che non hanno gradito il tormentato tentativo di rendere i conti dello Ior più trasparenti. C’è chi ha sentito parlare perfino di dimissioni dell’intero consiglio, per protesta contro un’inchiesta giudiziaria considerata approssimativa e insieme pilotata per delegittimare l’Agenzia. Difficile districarsi in un microcosmo di potere nel quale tutti tendono a accusare tutti e a sospettare di tutti. Il Papa argentino riceve quotidianamente la conferma che molti usano la sua attenzione per consumare rese dei conti spietate e senza fine.
Le spine della selezione dei dirigenti vaticani
Il tema della selezione della classe dirigente vaticana si ripropone con drammaticità. La difficoltà di Francesco a circondarsi delle persone giuste riaffiora in ogni ragionamento, di alleati e avversari. Anche sui protagonisti di questo scandalo, la tentazione di scaricare le responsabilità sulle «scelte sbagliate» del pontefice è vistosa. La situazione finanziaria già non brilla: al punto che nell’ultima riunione dei capi delle congregazioni, la settimana scorsa, si è ipotizzato di stilare bilanci non più annuali ma triennali.
È stata data la colpa al calo delle entrate dovuto alla congiuntura internazionale, ma la tesi è stata accolta con scetticismo. Lo scandalo di questi giorni promette di moltiplicare i mugugni. Eppure, ieri è stata annunciata la nomina di un galantuomo e un professionista come l’ex procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, a presidente del tribunale dello Stato del Vaticano. E questa scelta costringe a correggere lo schema tradizionale. Ma il contesto caotico e intossicato nel quale Pignatone si troverà a operare fa impallidire anche le sue inchieste più difficili.
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