venerdì 11 ottobre 2019

Chi appoggia e chi no la Turchia in Siria

@ - A parole quasi tutti sono contro la guerra ai curdi siriani, Italia compresa, ma al momento di prendere decisioni le cose sono un po' diverse.


L’operazione militare turca nel nordest della Siria contro i curdi siriani è entrata nel suo terzo giorno ed è già finita al centro del dibattito politico di diversi stati del mondo, oltre che delle principali organizzazioni internazionali come Unione Europea e Nazioni Unite. L’offensiva, almeno a parole, non sta piacendo quasi a nessuno, soprattutto per il rischio che il conflitto venga sfruttato dall’ISIS per riorganizzarsi dopo le sconfitte subite negli ultimi anni in Siria. Nei fatti le differenze tra paesi stanno però impedendo di prendere misure punitive rilevanti contro la Turchia, che molto probabilmente potrà continuare senza grossi ostacoli la sua occupazione del nordest della Siria.

I governi interessati a dire la loro sull’offensiva turca sono parecchi: ci sono per esempio quelli che hanno partecipato direttamente alla guerra siriana e che hanno interessi molto forti nel paese, come Stati Uniti, Russia, Iran e in misura minore Israele; ci sono i paesi europei preoccupati dal terrorismo dell’ISIS e che hanno ancora propri cittadini detenuti nelle prigioni curde; e poi ci sono i paesi del Golfo, che negli ultimi anni hanno finanziato e appoggiato vari gruppi di ribelli siriani e che sono interessati a quello che succede soprattutto per le conseguenze che potrebbe avere sui rapporti di potere nella regione.


Una mappa aggiornata della situazione nella Siria settentrionale e centrale. I curdi sono segnati in giallo, la Turchia e i suoi alleati in verde chiaro, i ribelli anti-Assad in verde scuro e il regime di Assad e i suoi alleati in rosso. L’offensiva turca sta avvenendo nelle zone di confine in giallo tra Turchia e Siria, da nord a sud (Liveuamap)

Partiamo dagli Stati Uniti. La posizione del governo americano è molto confusa. A dare il sostanziale “via libera” alla Turchia contro i curdi siriani era stato il presidente Donald Trump, annunciando il ritiro dei soldati statunitensi dal nordest della Siria ed eliminando quindi l’ultimo ostacolo all’invasione turca.

Dopo le reazioni sconcertate di alleati e membri del suo stesso partito, dovute al fatto che per anni i curdi erano stati i più preziosi e fedeli alleati degli Stati Uniti nella guerra contro l’ISIS, Trump aveva cominciato a dire cose contraddittorie: aveva detto che il suo governo era pronto a distruggere l’economia turca se la Turchia avesse superato quelli che lui nella sua «grande e ineguagliabile saggezza» considerava limiti imprescindibili; poi che i curdi non avevano aiutato gli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale – frase completamente senza senso, come avevano notato in diversi; e infine si era offerto come mediatore per negoziare la pace tra le due parti.

Il “tradimento” di Trump verso i curdi siriani ha provocato grandi divisioni nel governo e nel Partito Repubblicano, ma per ora sembra che prevarrà la linea del presidente, che nonostante la confusione degli ultimi giorni potrebbe essere sintetizzata così: gli Stati Uniti non sono favorevoli all’operazione turca contro i curdi siriani, ma hanno deciso di sacrificare l’alleanza con i curdi per tenersi stretta quella con la Turchia, paese membro della NATO; allo stesso modo, è molto probabile che non voteranno sanzioni internazionali contro il governo turco.

La posizione della Russia è simile a quella degli Stati Uniti, anche se per anni i due paesi si sono trovati in schieramenti diversi della guerra in Siria.

La Russia non ha rapporti troppo conflittuali con i curdi siriani, anche se non si può nemmeno dire che sostenga la loro causa. Un momento problematico nella relazione tra le due parti ci fu nel marzo 2018, quando la Turchia e l’Esercito Libero Siriano (gruppo di ribelli siriani da tempo finanziato e addestrato dai turchi) invasero i territori controllati dai curdi nella città siriana settentrionale di Afrin, a ovest del fiume Eufrate (l’offensiva in corso in questi giorni sta avvenendo a est del fiume Eufrate). I bombardamenti turchi sui curdi furono possibili solo grazie al tacito assenso della Russia, che controllava lo spazio aereo sopra Afrin. Anche in quel caso, come sta succedendo oggi con gli Stati Uniti, i russi decisero di sacrificare la loro amicizia con i curdi per salvare quella con la Turchia.

Ribelli siriani alleati con la Turchia festeggiano la presa di Afrin attorno alla statua di Kawa, un eroe mitologico curdo che sconfisse un crudele re assiro e poi si diede fuoco portando la primavera, com’è ricordato nella festa di Nowruz, 18 marzo 2018 (Hasan Kırmızitaş/DHA-Depo Photos via AP)

Per il governo russo, ha scritto Reuters, si tratta di trovare un giusto equilibrio tra diverse priorità: da una parte la Russia ha più volte parlato di quanto sia importante l’integrità territoriale della Siria, dall’altra sta lavorando da tempo con Turchia e Iran (alleato di Assad) per trovare un modo di dare una forma stabile e una Costituzione alla Siria post-conflitto. Per ora, comunque, è molto probabile che l’atteggiamento russo sarà simile a quello statunitense: stare a guardare che succede senza sanzionare la Turchia, facendo pressioni affinché l’offensiva turca sia rapida e limitata.

L’operazione turca contro i curdi ha messo l’Iran in una posizione molto complicata. L’Iran, che in Siria è alleato del regime siriano di Bashar al Assad e della Russia, è amico della Turchia e allo stesso tempo non può permettersi di inimicarsi troppo i curdi siriani.

In Iran, infatti, c’è una grande comunità di curdi, che identifica se stessa come parte di un gruppo etnico più ampio, transfrontaliero. Il governo iraniano teme quindi che una sua posizione troppo dura nei confronti dei curdi siriani possa provocare disordini nelle zone del paese abitate dai curdi iraniani.

Giovedì il ministero degli Esteri iraniano ha diffuso un comunicato per esprimere i propri dubbi sull’operazione turca. Nel comunicato, l’Iran ha detto di capire le ragioni della Turchia legate alla sicurezza – quindi la presunta necessità di allontanare i curdi dal proprio confine meridionale – ma ha anche chiesto la fine immediata dagli attacchi e il ritiro delle forze turche dal nordest della Siria. È difficile però che il governo iraniano vada oltre queste richieste. Per l’Iran, infatti, l’amicizia della Turchia è molto importante, soprattutto in un momento in cui le tensioni con l’Arabia Saudita e con gli Stati Uniti sono molto alte.


The Ministry of Foreign Affairs of the Islamic Republic of Iran has released a statement to express its misgivings over Turkey’s military action in northeast Syria


Le preoccupazioni iraniane sui curdi sono condivise anche dall’Iraq, che ha una grande comunità curda che abita nella regione autonoma del Kurdistan Iracheno e le cui milizie, i peshmerga, hanno combattuto per anni contro l’ISIS. Il presidente iracheno Barham Salih ha definito l’azione turca una «grave escalation» che causerà grandi sofferenze e rafforzerà i gruppi terroristici.

Un paese che ha usato toni piuttosto duri verso la Turchia è stato Israele. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha condannato «fortemente l’invasione turca delle aree curde in Siria» e ha avvertito del rischio di «pulizia etnica». «Israele è pronto a dare assistenza umanitaria al coraggioso popolo curdo».


Israel strongly condemns the Turkish invasion of the Kurdish areas in Syria and warns against the ethnic cleansing of the Kurds by Turkey and its proxies.
Israel is prepared to extend humanitarian assistance to the gallant Kurdish people.

La reazione israeliana è legata per lo più ai rapporti non proprio ottimali con la Turchia, che oltre a essere amica dell’Iran (nemico numero uno degli israeliani) appoggia anche Hamas, il più potente gruppo politico-terrorista palestinese, che a sua volta ha come obiettivo la distruzione di Israele.

Come ha scritto David Halbfinger sul New York Times, l’invasione turca del nordest della Siria non è una questione che riguarda direttamente la sicurezza israeliana. Il confine tra Turchia e Siria coinvolto nell’offensiva di questi giorni si trova a 800 chilometri di distanza da Israele, troppo lontano per rappresentare una minaccia. Per il governo israeliano, la cosa da tenere d’occhio in tutta questa storia è il “tradimento” degli Stati Uniti, che sono grandi e importanti alleati di Israele. Halbfinger ha scritto: «Se un simile tradimento è successo ai curdi, d’improvviso gli israeliani di tutto lo spettro politico hanno iniziato a chiedersi, cosa impedisce che lo stesso accada a un altro fedele alleato degli Stati Uniti?». In altre parole: Israele può ancora fidarsi degli Stati Uniti?

Mercoledì, poco dopo l’inizio dell’offensiva turca, il Consiglio dell’Unione Europea, che riunisce tutti i capi di stato e di governo dei paesi membri, ha diffuso un comunicato per condannare «l’azione unilaterale» turca e per chiedere la «fine delle ostilità». Il Consiglio ha detto di opporsi a qualsiasi «tentativo di cambio demografico» della regione, riferendosi a una eventuale “pulizia etnica” che potrebbero compiere i turchi contro i curdi siriani nel nordest della Siria. I membri europei del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – Germania, Francia, Polonia, Belgio e Regno Unito – hanno inoltre presentato una risoluzione molto critica, che però non ha avuto l’appoggio di Russia e Stati Uniti, tra gli altri, e non se n’è fatto niente.

In generale diversi paesi dell’Unione Europea sono molto preoccupati da due cose: che l’offensiva turca provochi un aumento dei flussi migratori verso l’Europa – ed è un timore fondato; e che la destabilizzazione del nordest della Siria possa favorire una rinascita dell’ISIS e la liberazione dei “foreign fighters” europei dalle carceri curde, anche questi timori fondati.

La posizione dell’Italia è stata finora in linea con quella degli altri paesi europei. Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, ha condannato duramente l’offensiva turca e ha convocato l’ambasciatore turco in Italia per manifestare la contrarietà del governo su quanto sta facendo la Turchia in Siria. Tutti i partiti politici che si sono espressi sul tema – PD, Liberi e Uguali, Italia Viva, Lega e Forza Italia – si sono detti contrari all’operazione turca.

L’operazione turca è stata condannata da tutti i paesi del Golfo Persico ad eccezione del Qatar, che ha riaffermato la sua amicizia con la Turchia e ha definito «legittime» le preoccupazioni turche sulla propria sicurezza.

La posizione del Qatar è praticamente unica nel mondo arabo, ma c’è una ragione. Nel giugno 2017 al Qatar fu imposto un embargo da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, tra gli altri, che accusavano il governo qatariota di appoggiare l’Iran e sostenere il terrorismo. Uno dei pochi paesi che si offrì di aiutare il Qatar fu la Turchia, che come il Qatar appoggia il movimento politico religioso dei Fratelli Musulmani, considerati nemici dai governi di molti paesi arabi. Per un paese isolato come il Qatar, insomma, l’amicizia turca continua a essere importante e non sacrificabile per sostenere la causa curda.

Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto hanno invece condannato duramente l’azione turca, così come il regime siriano, che ha parlato di «evidente violazione» del diritto internazionale.

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