martedì 24 settembre 2019

Sociale. Generali punta sul volontariato d'impresa

@ - A Venezia si è tenuto l’annuale incontro tra i parteners per condividere le migliori esperienze.


«Non pensare di poterlo fare da solo. Se collaboriamo puoi cambiare un sistema». Si è presentata con questa raccomandazione Jeroo Billimoria, fondatrice di autorevoli Ong e start up sociali, ai partner della Fondazione «The Human Saftey» del Gruppo Generali, provenienti da 20 Paesi (Europa, Asia, America Latina), riuniti a Venezia per fare il punto su tre programmi che si sono dati: per le famiglie, le start-up di rifugiati e la protezione dei neonati. «Una volta l’anno ci riuniamo a Venezia – racconta Emma Ursich, responsabile della Group Corporate Identity di Generali e segretario generale della Fondazione –. I nostri partner (una trentina) sono realtà di piccole dimensioni, radicate nelle loro comunità e molto esperte nel loro raggio d’azione: è fondamentale ritrovarsi tutti insieme e condividere le migliori esperienze. Quest’anno le tre parole chiave sono "connect, share, amplify" (connettere, condividere, amplificare). Stiamo lavorando per cambiare l’approccio e passare dalla "charity" alla "filantropia d’impatto": è cruciale infatti misurare l’effetto sociale delle azioni e dei progetti che stiamo portando avanti, capire quali siano i modi più efficaci per aumentare gli effetti positivi e accrescere il numero di persone coinvolte».

Da quest’anno in Generali si è attivato il volontariato d’impresa. Ogni Paese, dove il Gruppo è presente, individua i bisogni e cerca le risorse più efficaci all’interno del Gruppo, coinvolgendo dipendenti, ma anche clienti. «Già oggi – esemplifica Ursich – abbiamo colleghi che lavorano nell’IT, nel legale, nell’analisi dei dati, che si sono messi a disposizione delle start-up con le quali collaboriamo». Si generano storie molto belle, come quella di una giovane start up tedesca che è diventata fornitore stabile della mensa nella country Generali in Germania. Oppure come i progetti per la genitorialità in Asia e in America Latina. «I bisogni delle famiglie sono trasversali. Occorre creare reti di sostegno e offrire momenti di aggregazione per costruire un’idea di comunità» puntualizza Ursich. Thsn, nata due anni fa, intende andare oltre la donazione, aggredire le cause dei problemi, offrire gli strumenti d’intervento, individuando spazi e competenze; da qui l’apertura a istituzioni, Ong, associazioni. Ecco perché Billimoria ha suggerito di «lasciar andare» un’idea, una volta che è stata avviata, in modo da accogliere altre collaborazioni. Ahmed Sufian Bayram è reduce da un rapporto su centinaia di rifugiati siriani che fanno gli imprenditori in esilio. «Questi rifugiati – afferma – possono davvero contribuire all’economia del Paese che li ospita se, per esempio, vengono integrati negli ambienti commerciali e in particolare nel mondo delle start up con l’accesso al credito e normative mirate». A cominciare dalla selezione dei soggetti. «I donatori si impegnano attivamente – raccontano –, cercano di capire ciò che sostengono e sono impazienti di "sperimentare" la loro filantropia». Tre gli orizzonti d’impegno. La priorità riguarda le famiglie in condizioni di vulnerabilità estrema. «Oltre 250 milioni di bambini nel mondo rischiano di non raggiungere il loro potenziale di sviluppo, secondo l’Unicef. La nostra Fondazione – racconta Ursich – investe in corsi e attività a supporto delle buone pratiche genitoriali in famiglie a rischio di esclusione sociale con l’obiettivo di offrire cure e stimoli adeguati per la crescita cognitiva, motoria e sociale dei bambini tra 0 e 6 anni, in linea con il Nurturing Care Framework, documento internazionale che promuove lo sviluppo della prima infanzia».

Il programma è attivo in Italia con "Ora di Futuro", Germania, Francia, Spagna, Svizzera, Austria, Serbia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Indonesia, Vietnam, Malesia, India e Argentina. Altro fronte è quello delle migrazioni, dei profughi in particolare. La Fondazione offre a coloro che abbiano ricevuto lo status di rifugiati - dal 2015 sono arrivati in Europa oltre 2,3 milioni di richiedenti asilo - gli strumenti per avviare un’attività autonoma che consenta loro e famiglia di creare nuovi mezzi di sostentamento, contribuire all’economia locale e riacquistare così la propria dignità favorendo l’integrazione sociale. Il programma è operativo in Francia, Germania e Svizzera. Tema delicato e di estrema urgenza, quello dei neonati. «Vogliamo contribuire – ricorda Ursich – a combattere l’asfissia neonatale, una patologia che colpisce ogni anno al momento della nascita quasi un milione di neonati in tutto il mondo e può provocare lesioni gravi e permanenti al cervello dei bambini. Siamo attivi in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Thailandia». Bernadette Daelmans del Dipartimento della salute materna, dell’Organizzazione mondiale della sanità, presente a Venezia, condivide il programma della Fondazione, sottolineando che è indispensabile accompagnare le famiglie nell’assistenza alimentare, prima che sanitaria, dei figli, perché altrimenti si rischia di perdere intere generazioni di giovani.

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