@ - A Rimini il presidente della Cei parla di giovani e di una generazione ostaggio di una "società vecchia e immobile", di "consorterie e oligarchie"
“Non fatevi rubare i sogni, sono il futuro”: il monito di papa Francesco, lanciato nell’agosto scorso, è un «bellissimo titolo», ammette il cardinal Gualtiero Bassetti, che però al Meeting di Rimini ne aggiunge un pezzo. Perché non si sogna da soli: «Statevi accanto, sostenetevi, fatevi compagni di viaggio. Come mi insegnò il cardinal Benelli - ha detto - non c’è bisogno di maestri ma di testimoni che credono in quello che dicono e che, soprattutto, sono disposti a prenderti per mano». Con queste parole, l’arcivescovo di Perugia aggiunge un tassello anche alla pedagogia dell’incontro cui il Meeting di Comunione e liberazione lavora da quarant’anni e lo fa linkando il magistero di Bergoglio all’emergenza culturale (e pastorale) del momento, quella della relazione.
Oggi Bassetti è tornato al Meeting, per la prima volta, da presidente della Cei - era già intervenuto nel 2014 ma vi partecipa, come ha ricordato, fin dal 1970 - e ha preso per mano i giovani con la confidenza della Sentinella di Isaia e con schiettezza tutta toscana. I sogni e il futuro di cui parla la Chiesa, ha infatti chiarito, non sono né l’anelito alla spensieratezza, né alla carriera: «Ben più alta è la meta a cui i nostri giovani sono chiamati - è il messaggio l’aicivescovo di Perugia -. Una meta di cui si possono trovare le coordinate nell’Esortazione post-sinodale Christus vivit».
Con lo slancio di Luca - «Ragazzo, dico a te, alzati!» (Lc7,14) - ha spiegato che da troppo tempo nella vita dei giovani italiani, deprivata della sua naturale dimensione spirituale (che «non cancella né la capacità di sognare e né la volontà di aiutare l’altro», come ha commentato, ricordando i sogni del patriarca Giuseppe e l’esempio di Paola Bonzi, la fondatrice del Centro di aiuto alla vita dell'ospedale Mangiagalli, a Milano, scomparsa pochi giorni fa) ), mancano speranza, fede e concretezza. «Oggi, molti giovani - ha detto -, condizionati da una società edonista che troppo spesso banalizza le amicizie e i rapporti umani, conducono una vita individualistica che non permette di apprezzare, fino in fondo, il senso del “vivere insieme”». Invece, «occorre restituire il significato profondo del concetto di relazione. Perché è solo attraverso la relazione con gli altri che un giovane può diventare parte di un corpo vivo: di una famiglia, di una comunità cittadina, di una scuola, di un’associazione e di una comunità ecclesiale».
Partendo proprio dal concetto di relazione - con il corpo, con gli altri e con il trascendente - l’Arcivescovo ha scavato nel rapporto tra giovani e Chiesa. Partendo dalla necessità di «riattribuire alla relazione con il corpo un significato autentico, combattendo ogni banalizzazione e ogni deriva ideologica» e sottolineando la «dimensione spersonalizzante» o quella «di amicizia superficiale e di solitudine delle giovani generazioni che quotidianamente vivono gran parte delle loro relazioni sul web», è giunto a descrivere così il rapporto tra i giovani e Dio: «complesso e non certo univoco; a tratti intenso, a volte intimo, spesso incostante e di breve durata».
Si crea spesso un “rapporto a tempo” con la Chiesa, che si spezza per «un rapporto con il corpo e con gli altri banalizzato, oppure perché scandalizzati dai peccati della Chiesa». Questo rapporto risente anche la «grande e irrisolta» questione educativa: «un’educazione alla fede, al valore della vita e al saper abitare la comunità. Mai come oggi, dunque, siamo chiamati ad essere Chiesa in uscita verso i giovani e penso che siano straordinariamente attuali le parole di Paolo VI quando disse che “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”». Di Montini ha ricordato anche la risposta a La Pira nella quale il Papa auspicava che un giorno si potesse ricordare «una Chiesa che soffriva ma che con tutte le sue forze amava l’uomo».
Per costruire una simile Chiesa servono «credibilità della testimonianza cristiana e responsabilità nei rapporti umani», ha affermato il cardinale, riversando la “profezia” di Paolo VI su questa generazione di giovani, che è «problematica ma non si ripiega su se stessa e cerca di amare l’uomo». Una generazione, ha aggiunto, che ha tanti talenti ma poca speranza, e che è ostaggio di una società «vecchia e immobile», di «consorterie e oligarchie». Uno stallo di cui il pastore non si dà pace: «È triste quel Paese che non sa dare speranza ai propri figli!».
Sui migranti sulla Open Arms
Bassetti è stato poi sollecitato dai giornalisti riguardo ai temi politici e di attualità. Sulla Open Arms e i migranti tenuti a bordo, "la posizione della Chiesa è molto semplice: noi facciamo il mestiere del Samaritano. Dove sono andati quelli che sono sbarcati l'ultima volta? Li abbiamo presi noi. È molto semplice. Noi non siamo politici non siamo operatori sociali, noi ci consideriamo nella figura e nella missione del Samaritano".
Sulla situazione politica e la crisi di governo
E sulla situazione generale del Paese: "La primavera italiana? Siamo ancora un po' nella notte. Siamo al cambio della sentinella di Isaia. Notte, freddo, cambia la sentinella. Quella che arriva domanda alla sentinella, quanto manca all'alba? E la sentinella risponde, l'alba viene, la primavera viene".
Nessun commento:
Posta un commento