@ - Luglio 1995: Mario Ferraro, agente Sismi, muore in un attico all’Eur. La compagna gridò: come ha fatto a suicidarsi se il portasciugamani è più basso di lui? I dubbi di omicidio e i possibili moventi.
Il suo nome è entrato in molti misteri d’Italia, dall’omicidio di una giornalista coraggiosa all’eccidio di via Fani, e chi ha indagato sulla sua morte non sempre è riuscito a discernere tra piste vere e bufale a scopo di depistaggio, perché nel Paese dei golpe falliti, delle stragi senza colpevoli e dei fondi neri, quando dici «servizi» pensi «deviati», e allora ogni verità sbiadisce, diventa incerta e sfuggente, mentre lui, lo 007 che sapeva troppo, quella domenica d’estate di 24 anni fa era l’emblema della normalità, stava facendo quel che piace a tutti... Se ne stava beato con la sua donna in terrazza - l’agente segreto con un alias da rappresentante di commercio - a riempirla di baci, mordicchiare il sigaro e progettare vacanze, e a tutto pensava fuorché di finire sul tavolo di un obitorio.
Mario Ferraro, morto in circostanze misteriose a 46 anni
Era il 16 luglio 1995. Roma sud, zona Eur: un attico moderno e luminosissimo in via della Grande Muraglia, al Torrino. Caldo feroce e giornata piatta, al di là della bella vittoria di Marco Pantani in una tappa del Tour de France. Ma in serata, quando la notizia iniziò a trapelare nelle redazioni, in tanti saltammo sulla sedia. La fine di Mario Ferraro, 46 anni, tenente colonnello del Sismi (oggi Aise) esperto in traffico d’armi e terrorismo, sembrava scritta da John Le Carré. L’uomo era stato trovato dalla sua compagna Maria Antonietta Viali in bagno, prima di cena, appeso a un portasciugamani alto 1 metro e 20, dopo averlo chiamato più volte dalla terrazza. Scena macabra: il suo Mario, l’uomo conosciuto come Fabio Marcelli, dipendente di una ditta import-export (di copertura) con sede nel palazzo di viale Pasteur dove lei lavorava come pierre, era appoggiato con le spalle al muro, la cinta dell’accappatoio stretta attorno al collo e il fondoschiena alzato di 10 centimetri dal pavimento.
Cesare Martellino, il pm incaricato delle prime indagini sul caso Ferraro
Un incubo. Le grida di orrore, il senso di impotenza, le telefonate in lacrime ai familiari di lui, la casa invasa da «barbe finte», divise tra parole di cordoglio e la preoccupazione di mettere al sicuro il materiale «riservatissimo» custodito in casa... «Povero Mario, che modo assurdo di togliersi la vita», bisbigliavano molti nell’attico dei misteri. Ma fu lei ad andare al punto: «Come ha fatto a suicidarsi se il portasciugamani è più basso di lui?» Anche il fratello, Salvatore Ferraro, notò un dettaglio: «Ha il viso sereno, non di uno che compie un gesto disperato». Come se il corpo fosse stato «aggiustato», ricomposto dopo il decesso.
Le indagini svelarono irregolarità palesi. Finirono sotto inchiesta sia l’assistente capo del commissariato di zona che, nella comunicazione ai superiori aveva omesso di segnalare l’attività della vittima, sia i militari che avevano portato via telefonino e agenda di Ferraro. Indagava Cesare Martellino, il pm con la pipa, uno Sherlock Holmes già famoso in città per aver seguito il giallo della contessa ammazzata qualche anno prima all’Olgiata. La prima ipotesi fu istigazione al suicidio, presto mutata (a fine luglio) in omicidio volontario. Troppe ombre e stranezze.
Mario Ferraro, morto in circostanze misteriose nell’estate 1995, a 46 anni
I trascorsi del defunto 007, che da un decennio seguiva scottanti operazioni di intelligence in giro per il mondo, soprattutto sul fronte mediorientale, e oltretutto aveva un carattere ribelle e uno spiccato senso di giustizia, si prestavano a fornire un possibile movente. E poi andava ricostruito l’accaduto, in cerca di prove. Un testimone c’era. Deposizione da brividi, quella di Maria Antonietta. «Mario alle 19 era uscito per comprare i sigari e il gelato e io sentii strani rumori provenienti dall’ascensore. Era lo scatto della fotocellula, ripetuto parecchie volte, come di qualcuno che intende tenere aperta la porta. Lì per lì non gli diedi importanza, invece…» Altro elemento: «Quando rientrava lasciava la chiave nella serratura, da dentro. Da mesi era teso, si sentiva pedinato. Quella sera, però, la chiave la trovammo in un cassetto». Terzo indizio: nel pomeriggio la coppia s’era appartata in camera, «ma Mario aveva dimenticato di chiudere la portafinestra in salotto». Qualcuno s’era intrufolato passando dal terrazzo condominiale? Anche ammettendo che il portasciugamani, trovato intatto, avesse miracolosamente retto al peso di Ferraro (quasi 90 chili), le anomalie balzavano agli occhi. L’autopsia evidenziò lesioni di tipo diverso sul collo, non incompatibili con uno strangolamento in due tempi. E perché impiccarsi in maniera tanto macchinosa, avendo a disposizione una pistola?
Lo scenario «omicidiario» - due o tre killer che strozzano lo 007 in ascensore e poi attuano la messinscena - era rafforzato dall’analisi delle tante missioni pericolose e dalle voci su di lui, spesso incontrollate. Ferraro che smaschera un giro di tangenti legate alla fornitura di apparecchiature di spionaggio, mettendo nei guai due superiori. Ferraro sulle tracce di un agente della Cia, Roger D’Onofrio, in odore di connection con la mafia. Ferraro citato da Stefania Ariosto, teste «Omega» del processo per corruzione contro Cesare Previti, il quale, durante una gita in yacht, lo avrebbe definito «un osso durissimo». Ferraro chiamato in causa nel rapimento di Davide Cervia, tecnico esperto in guerre elettroniche sparito a Velletri 5 anni prima. Ferraro e il collega «gladiatore» Vincenzo Li Causi, morto anche lui in circostanze misteriose, e i presunti contatti con la giornalista Ilaria Alpi. Ferraro e Aldo Moro, infine: che ruolo ebbe lo 007 di via della Grande Muraglia nella divulgazione della famosa «velina» scritta due settimane prima del rapimento, dimostrazione del fatto che alcune «barbe finte» sapevano e tacquero?
Sipario. Troppe incertezze. Tanti indizi, evidentemente, si rivelarono più ridondanti che utili. Si iniziò a far presente (anche se il fatto risaliva a molti anni prima) che lo 007 aveva perso una figlia di tumore e ciò gli aveva causato una forte depressione. Inoltre, a suon di perizie, il suicidio da un metro e 20 d’altezza non fu reputato impossibile. Per la verità Fabrizio Colarieti, uno dei giornalisti pistaroli che ha a lungo scavato su complotti e misteri, arrivò persino a scoprire che nello stesso palazzo era operativa una base del Sismi, bonificata - guarda caso - quella notte. Il che poteva condurre a un regolamento di conti interno. Tutto vano. Indizi e spunti d’indagine vennero lasciati cadere. E il giallo fu archiviato nel 1999, con quel solito retrogusto amaro, molto italiano, di verità occultate e non dette. (fperonaci@rcs.it)
Nessun commento:
Posta un commento