@ - Le ultime demolizioni e i nuovi, ennesimi progetti approvati dall'esecutivo di Tel Aviv per la costruzione di insediamenti ebraici nei territori occupati hanno portato i dirigenti palestinesi a decidere per la rottura con i vicini israeliani
“Siamo giunti a un crocevia”, ha detto giovedì il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese(Anp), Abu Mazen, quando ha convocato una riunione urgente della leadership palestinese nella roccaforte della Muqata, a Ramallah. La “decisione importante” che doveva essere presa è stata poi comunicata nella serata: l’Anp ha deciso in principio di sospendere tutti gli accordi sottoscritti con Israele. Eccessivo è stato giudicato l’atteggiamento di Tel Aviv che nei giorni scorsi ha demolito altre abitazioni a Wadi al-Hummus, a Gerusalemme est, in un’area autonoma secondo gli accordi di Oslo del 1993. Visto che Israele ha violato unilateralmente quegli accordi, spiegano i palestinesi, all’Anp non resta che sospenderli.
Come e in che tempistiche questo dovrà avvenire sarà disposto da un’apposita commissione che intanto si occuperà di verificare la fattibilità economica e relativa alla sicurezza. Intanto, il primo ministro, Mohammed Shtayeh, ha incontrato ambasciatori e consoli accreditati in Palestina per metterli al corrente della gravità della crisi. Il governo di Benjamin Netanyahu, sostiene il premier palestinese, è colpevole anche di aver lanciato “una guerra finanziaria” nei confronti dell’Anp, in riferimento al congelamento di tasse e dazi doganali destinati a Ramallah, ma la situazione, ha dichiarato, non è irreversibile e una soluzione può ancora essere trovata.
Ma le ultime demolizioni e i nuovi, ennesimi progetti approvati dall’esecutivo di Tel Aviv per la costruzione di insediamenti ebraici nei territori occupati hanno portato i dirigenti palestinesi a decidere per la rottura con i vicini israeliani. “Non ci piegheremo di fronte alle imposizioni israeliane e alla politica del fatto compiuto, in modo particolare a Gerusalemme”, ha detto Abu Mazen. “Le nostre mani – ha assicurato – restano tese come in passato, al fine di conseguire una pace giusta, generale e durevole. Ma ciò non significa che accettiamo lo status quo“.
Non a caso, lo stesso Shtayeh nelle scorse settimane si è recato in Iraq a chiedere sostegno dai governi amici della regione, elemento che conferma il fatto che l’ipotesi di una sospensione degli accordi era nell’area già dalla decisione degli Stati Uniti di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Una scelta, però, che era considerata come un’extrema ratio, dato il rischio di cedere terreno ai rivali politici di Hamas.
Il presidente dell’Anp ha inoltre ribadito di ritenere inaccettabile quello che Washington ha definito, “l’accordo del secolo”, un piano di pace pensato dal genero del presidente Donald Trump, Jared Kushner, che dovrebbe garantire, attraverso investimenti internazionali, l’uscita di Gaza dall’isolamento e la suddivisione definitiva di diritti e competenze tra Israele e Palestina che porterebbe all’attuazione della soluzione dei due Stati. “La Palestina e Gerusalemme – ha ribadito Mahmud Abbas – non sono in vendita”, avvertendo che nella regione e nel mondo non ci possono essere “né pace, né sicurezza, né stabilità” fino a quando i palestinesi non avranno recuperato i propri diritti.
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