@ - Nel secondo trimestre del 2019 l’economia della Cina è cresciuta al suo ritmo più lento dagli anni Novanta, stando ai dati dell’Istituto di statistica nazionale: il 6,2 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La crescita, in linea con le previsioni degli economisti, è anche diminuita rispetto al trimestre precedente, quand’era stata del 6,4 per cento. Per qualsiasi altro paese sarebbe un tasso incredibilmente alto ma non per la Cina, che nell’ultimo anno ha sofferto particolarmente, anche a causa dei dazi e delle tariffe imposti dagli Stati Uniti sulle esportazioni. Mao Shengyong, portavoce dell’Istituto di statistica, ha commentato i dati dicendo che «la situazione economica è ancora difficile, sia in Cina che all’estero, la crescita economica globale sta rallentando mentre aumentano le instabilità e le incertezze esterne».
Ci sono comunque alcuni dati positivi, come quello sulla produzione industriale, aumentata del 6,3 per cento rispetto all’anno precedente, e quello sugli acquisti al dettaglio, cresciuti del 9,8 per cento: entrambi al di sopra delle previsioni degli analisti di Reuters. L’investimento nelle infrastrutture è diminuito al 4,1 per cento dopo anni in cui si aggirava attorno al 20; le importazioni sono calate del 7,3 per cento e le esportazioni dell’1,3 per cento rispetto al giugno 2018; la disoccupazione urbana è al 5,1 per cento. Nell’ultimo anno si sono ridotti anche la produzione industriale e gli investimenti nel privato; il mercato immobiliare è rallentato così come l’industria automobilistica.
Il governo cinese ha risposto stimolando la spesa e con tagli fiscali da miliardi di euro; ha anche favorito l’aumento della liquidità riducendo la quantità di contanti che le banche devono avere in riserva. Queste misure non sono state però sufficienti e secondo molti analisti nei prossimi mesi il governo dovrà intervenire nuovamente. Il New York Times spiega che nelle ultime settimane sono diminuiti gli investimenti più rischiosi perché hanno fruttato meno agli investitori, che si sono quindi rivolti alle istituzioni finanziarie più stabili, controllate dal governo. Un altro grosso problema è che le banche tendono a concedere prestiti alle grandi aziende statali e non alle piccole imprese, cosa che nel lungo periodo ha danneggiato il settore privato. Questa scelta è anche dovuta al timore da parte dei banchieri di essere accusati di corruzione per aver fatto prestiti a piccole aziende in difficoltà o appena nate, deviando dalla norma di lavorare con grandi e rassicuranti società statali.
Un altro fattore decisivo è la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, iniziata nel marzo 2018 con l’annuncio da parte del presidente statunitense Donald Trump di dazi sulle importazioni di alluminio e acciaio dalla Cina con l’obiettivo dichiarato di colpire le aziende cinesi. Da allora Cina e Stati Uniti si sono reciprocamente imposti dazi sulle importazioni di moltissime merci. A maggio 2019 Trump ne aveva annunciati di nuovi per circa 300 miliardi di dollari (255 miliardi di euro) di importazioni annuali, a giugno il governo cinese aveva risposto aumentandoli su circa 60 miliardi di dollari (53 miliardi di euro) di merci. Nel 2018 il flusso di investimenti reciproci tra Cina e Stati Uniti, che era arrivato a 60 miliardi di dollari nel 2016, si è ridotto fino a 19 miliardi (17 miliardi di euro). All’incontro del G20 a Osaka del 2019 giugno, i due Paesi avevano accettato una tregua che prevede di non aggiungere nuovi dazi e di riprendere i colloqui. La guerra commerciale e il rallentamento della crescita dell’economia cinese potrebbero avere conseguenze preoccupanti sull’economia globale.
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