domenica 7 luglio 2019

E’ la Germania in crisi, ecco perché la Merkel non ha mandato un tedesco alla BCE

@ - La recessione in Germania appare più vicina dopo i dati sugli ordini industriali in forte calo a maggio. E la cancelliera Merkel ha messo le mani avanti, puntando sulla "flessibile" francese Lagarde per la BCE, anziché rischiare con un tedesco.
Le ultime stime della Commissione europea parlano di una crescita del pil tedesco dello 0,5% per il 2019, seguita da un’accelerazione al +1,5% per l’anno prossimo, ma la realtà si sta evolvendo con una negatività inattesa, se è vero che Olli Rehn, banchiere centrale finlandese e di solito considerato un “falco” monetario, nei giorni scorsi si è fatto sentire per ribadire la necessità di nuovi stimoli da parte della BCE, notando come “il rallentamento dell’Eurozona non sarebbe temporaneo”.
A preoccupare è proprio la Germania, che a maggio ha visto crollare gli ordini industriali del 2,2% mensile e dell’8,6% su base annua, mai così male da 10 anni.

E dall’agosto scorso fino ad aprile di quest’anno, la produzione industriale tedesca è diminuita per 7 volte su 9, mentre l’indice manifatturiero si trova in contrazione da tutto quest’anno (6 volte su 6 tra gennaio e giugno), per cui l’economia in Germania sembra restare trainata dai soli servizi, la cui crescita si mostra ancora solida. E non è indifferente proprio questo dato: gli ordini crollano e la produzione industriale arretra, perché a differenza dei servizi, trattasi di un comparto legato alle esportazioni. E la congiuntura internazionale si sta indebolendo, i dazi americani dell’amministrazione Trump iniziano a mordere e le tensioni con il Regno Unito sulla Brexit fanno il resto.

La “fortunata” coincidenza con la crisi tedesca
Per non gettare ulteriore benzina sul fuoco, i tedeschi sono stati capifila tra quanti a Bruxelles hanno voluto evitare l’apertura della procedura d’infrazione contro l’Italia per eccesso di debito, non volendo creare le condizioni per altre turbolenze finanziarie ed economiche nell’area. In attesa del dato sul secondo trimestre, l’ipotesi che la Germania stia scivolando verso la recessione diventa un po’ più concreta, avendola già schivata per un soffio alla fine del 2018. Per questo, la cancelliera Angela Merkel ha voluto evitare di prendersi la BCE nella partita delle nomine europee. In corsa c’era fino a inizio settimana il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, su cui pesava certamente il “no” della Francia, ma Berlino avrebbe potuto cedere a Emmanuel Macron la guida della Commissione.

Invece, è accaduto che la “colomba” Christine Lagarde sia stata nominata a succedere a Mario Draghi, mentre l’austera e improvvisata Ursula von der Leyen sia stata nominata per prendere il posto di Jean-Claude Juncker. Sembra perfettamente logico con quanto stia accadendo proprio in Germania. La cancelliera sa che serve anche all’economia tedesca per i prossimi mesi una politica monetaria quanto più espansiva possibile e avrebbe rischiato di ritrovarsi con Weidmann un uomo ostile a nuovi stimoli e al prolungamento dei tassi bassi. Nel migliore dei casi, Berlino avrebbe fatto una magra figura, dovendo portare avanti le stesse politiche di Draghi, dopo avergliene dette di tutti i colori in questi 8 anni. Come l’avrebbero presa i risparmiatori tedeschi, fiutando l’aria di fregatura?

Per l’Italia, meglio così. La coincidenza tra crisi propria e quella tedesca è “fortunata”, perché spingerà senza ombra di dubbio la BCE a restare accomodante più a lungo delle previsioni, facendo un favore solo per puro caso alla nostra economia, che non avrebbe potuto tollerare tassi in risalita già in questi mesi, quando già li ha ai livelli più alti di tutto il mondo avanzato, a parziale esclusione della Grecia. E la Germania non può dal canto suo permettersi di subire altri colpi all’export con il rafforzamento dell’euro (ma lo stesso dicasi per le imprese italiane). Il solo fatto che proprio gli stati del nord stiano invocando taglio dei tassi e nuovo round del “quantitative easing” la dice lunga sulla reale rigidità ideologica dei loro governi e banchieri centrali, che spesso maschera più la salvaguardia di interessi nazionali che non solide convinzioni. E il timore che la Germania possa trascinarli in recessione li rende colombe quanto quelle del sud.

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