@ - Francesco sprona i credenti e offre parole chiare sviluppando l’ampio e fertile filone sociale aperto da Leone XIII.
Il Papa a Firenze il 10 novembre 2015 in occasione del Convegno ecclesiale nazionale (LaPresse).
Negli ultimi anni un sempre maggiore deficit di conoscenza ha portato – fuori, ma talvolta anche dentro la comunità ecclesiale – incomprensioni e perfino fraintendimenti gravi circa la fondamentale tradizione dell’insegnamento sociale pontificio e, oggi, circa il magistero di papa Francesco, che di tale tradizione è l’attuale compimento. A causa di questo fraintendimento, vi è perfino chi è arrivato a considerare il Papa un ostacolo all’impegno dei cattolici in politica: impegno dal Papa stesso, in realtà, auspicato esplicitamente sin dai primi tempi del suo pontificato con espressioni di grande chiarezza: «Per favore, immischiatevi nella politica» e «date il meglio!». E ancora, quasi in forma di preghiera: «Mettevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella politica con la 'P' maiuscola»...
L'insegnamento sociale pontificio attiene al campo storico mutevole dei processi sociali e perciò non si esprime in 'dogmi' ma in 'orientamenti' che mediano, secondo l’autorevole discernimento del Pontefice, l’annuncio del Vangelo con i problemi sociali di un particolare momento storico. In senso contemporaneo, tale insegnamento è sorto alla fine dell’Ottocento, quando Leone XIII si trovò davanti a una società polarizzata: da una parte i capitalisti che sostenevano il liberismo e volevano mano libera (laissez-faire) dallo Stato, che era peraltro governato da una classe politica ristretta, selezionata da un suffragio censitario, perciò limitato ai più ricchi; dall’altra i movimenti operai e socialisti, che miravano a una collettivizzazione dei mezzi di produzione e di scambio. La linea del Papa fu quella della legislazione sociale (secondo la prospettiva tedesca del 'socialismo della cattedra', ripreso in campo cattolico da Giuseppe Toniolo), cioè di uno Stato che interveniva a favore dei più poveri e dei più deboli: «I diritti vanno debitamente protetti in chiunque li possieda, e il pubblico potere deve assicurare a ciascuno il suo, impedendo e punendo le violazioni. Tuttavia, nel tutelare questi diritti dei privati, si deve avere un riguardo speciale ai deboli e ai poveri. La classe dei ricchi, forte per se stessa, abbisogna meno della pubblica difesa; la classe proletaria, che manca di sostegno proprio, ha speciale necessità di cercarla nella protezione dello Stato. Perciò agli operai, che sono nel numero dei deboli e bisognosi, lo Stato deve di preferenza rivolgere le sue cure e le sue provvidenze» (Rerum novarum, n. 29).
Questo grande orientamento – che possiamo dire di giustizia sociale – è stato sviluppato dai Pontefici successivi, sui due assi: della dignità della persona umana (libertà e diritti di ogni persona) e dei doveri di solidarietà sociale (funzione sociale della proprietà, diminuzione delle disuguaglianze sociali, sostegno ai Paesi più poveri). L’impegno dei cattolici in politica ha avuto, in particolare in Italia, questa principale indicazione, e pur sviluppandosi pluralisticamente – come è ovvio nell’opinabile campo della politica – ha avuto una posizione maggioritaria (da Sturzo a De Gasperi, Dossetti, Moro, fino – potremmo dire – a Sergio Mattarella): quella della democrazia sociale. Sturzo, fin dalla fine dell’Ottocento, distingueva tra cattolici conservatori e cattolici democratici: i primi, per esempio, favorevoli a una tassazione proporzionale, i secondi a una tassazione progressiva. E l’impostazione di democrazia sociale, grazie al contributo di importanti politici cattolici (Dossetti, La Pira, Mortati, Fanfani, Moro, Lazzati), è stata acquisita dalla Costituzione della Repubblica: per cui «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (articolo 3). Pertanto, la classe di governo democristiana ha perseguito un 'modello di sviluppo' che si opponeva tanto al liberismo del grande capitale (rappresentato dalla Confindustria), che mirava a porre al primo posto il privatismo proprietario, quanto al comunismo dei partiti marxisti, che miravano a eliminare la proprietà privata. Il 'modello' democristiano è stato invece quello di una redistribuzione della ricchezza, di una diffusione della proprietà, di un allargamento dei ceti medi. E così è stato, negli anni del benessere italiano.
Il primo grande orientamento della giustizia sociale (riaffermato in modo forte dal Concilio Vaticano II) è stato completato dai Papi, nel secolo delle guerre mondiali e della guerra fredda, dal secondo grande orientamento della pace e del dialogo (da Benedetto XV a Pio XII e, soprattutto a Giovanni XXIII oltre che, naturalmente, al Concilio e a Paolo VI). Ma, fin dagli anni 70 del Novecento, è emerso un nuovo problema, tendenzialmente di primo piano, per l’intera umanità: quello ecologico. Ne hanno parlato Paolo VI nell’Octogesima adveniense il III Sinodo mondiale dei vescovi, poi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Oggi, davanti alla evidente drammaticità della questione ambientale, papa Francesco ha sviluppato, aggiornato e completato con l’enciclica Laudato si’ tale magistero, con il terzo grande orientamento, quello ambientale, e soprattutto ha prospettato una visione unitaria e organica che dunque, ora, indica: giustizia, pace, salvaguardia del creato.
È evidente che le attuali forze politiche in campo presentino, dal punto di vista dell’insegnamento sociale pontificio, carenze varie e diverse: i neoliberisti (di destra e di sinistra) sono carenti sul piano dei doveri di solidarietà sociale; i cosiddetti sovranisti-populisti sono carenti sul piano del rispetto della dignità umana e dei diritti della persona (di qualunque popolo, etnia, religione essa sia: tutti gli esseri umani sono figli di Dio, ecco perché – come dice papa Francesco – «per Dio nessuno è straniero»). Ma ciò non significa che ciò ostacoli l’impegno dei cattolici in politica. Significa che i cattolici, se militano in tali formazioni, devono essere consapevoli di tali carenze e devono cercare di colmarle. Ciò non toglie che nuovi progetti politici possano, laicamente e pluralisticamente, essere messi in campo per raccogliere con più forza gli orientamenti dell’insegnamento sociale pontificio. Ma solo se tali iniziative sono richieste, giustificate e rese possibili dalla realtà concreta del momento storico.
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