martedì 11 giugno 2019

Papa Francesco, la lezione di don Giuseppe Dorma: "Perché benedico il tabaccaio che ha ucciso il ladro"

@ - Menomale che ci sono preti come don Beppe Dorma, menomale che il cristianesimo riesce a resistere nelle periferie tanto evocate da Bergoglio ma in realtà tanto dimenticate a vantaggio della Curia e dei suoi proclami. Proprio là, nei paesi di provincia, dove il parroco è ancora una delle figure più rappresentative della comunità, sopravvive un cattolicesimo autentico che ascolta i bisogni della gente ed è capace di dire cose di buon senso lontane dal buonismo

In questo coro di preti si inserisce don Beppe, parroco di Pavone Canavese, il paese in provincia di Torino dove tre giorni fa il tabaccaio Marcellino Iachi Bonvin, per tutti Franco, ha sparato a un rapinatore moldavo uccidendolo. Ieri, durante la messa, don Beppe avrebbe potuto esprimere parole di condanna per l'uccisione di quell'uomo e dire no all'uso delle armi a prescindere. E invece ha preferito manifestare vicinanza al tabaccaio, facendo un appello affinché la sicurezza nelle nostre città aumenti.
«Nel giorno della Pentecoste vogliamo essere vicini a Franco e alla sua famiglia», ha detto. «Preghiamo perché lo Spirito Santo dia a Franco la sapienza, la luce e l'intelletto per vivere questo momento tragico». D'altronde, già all'indomani della rapina il parroco aveva descritto Franco come «buon marito, ottimo padre di famiglia, grande lavoratore, onesto e sincero». E, a margine della celebrazione di ieri, don Beppe evidenziava la ragione per cui le persone spesso sono costrette a difendersi da sole: «La gente vuole sentirsi sicura ed è compito dello Stato garantirgli questa sicurezza. Se ci fossero più forze dell'ordine e fossero dotate degli strumenti necessari, nessuno si difenderebbe da solo e non ci sarebbe bisogno di una legge sulla legittima difesa». Nel frattempo, è il sottinteso, difendersi da sé resta una possibilità lecita, a volte una necessità.

I soliti ultimi - Quando senti dei preti parlare così, capisci quanto la Chiesa abbia bisogno di uomini attenti non più agli interessi dei soliti "ultimi" - i migranti, i rom, i criminali che delinquono perché poveri - cui estendere la propria misericordia; ma di pastori che difendano i cittadini perbene, i padri di famiglia e i lavoratori esasperati, gli uomini e le donne che si sentono minacciati nella propria incolumità. È singolare infatti che nel giorno in cui i vescovi laziali lanciavano un'iniziativa buonista, con tanto di "Lettera ai fedeli", per dedicare il giorno di Pentecoste all' accoglienza dei migranti, don Beppe decideva di andare controcorrente, di destinare un pensiero e una preghiera a Franco. E di entrare così in sintonia con i fedeli, visto che in paese tutti gli abitanti sono dalla parte del tabaccaio cui domani dedicheranno una fiaccolata.
Ma ciò non significa che don Beppe si sia limitato, in modo "populista", ad assecondare il sentimento delle persone. Lui piuttosto si è adeguato al dettato del Catechismo della Chiesa Cattolica secondo cui «la legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere» e «chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio, anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale». Il parroco di Pavone Canavese, insomma, ha seguito il Vangelo, si è attenuto alla dottrina, a partire da una considerazione di ordine filosofico-teologico: se la Vita è il Bene inviolabile per eccellenza, è possibile ricorrere a tutti i mezzi affinché essa non venga violata. Da questo punto di vista, la legittima difesa non solo non è un reato, ma neppure un peccato. E armarsi e amarsi diventano due declinazioni dello stesso Bene.
E così, mentre gli alti prelati in Vaticano chiedono porte e porti aperti, condannano le armi e quasi si vergognano di rosari e crocifissi, don Beppe risponde con più sicurezza, uso legittimo della forza e sequela del Vangelo.
No, non è un salviniano, è semplicemente un cristiano. !!!!! ????di Gianluca Veneziani

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