@ - Dal 1985 regolamenta la maternità surrogata con la garanzia per la madre in affitto di tenersi il figlio cambiando idea entro i sei mesi del bambino. Ma la legge inglese ora viene riformata.
Troppo antiquata, sentimentale, materna. È così che in Gran Bretagna viene considerata l’attuale legge sulla maternità surrogata, datata 1985 (dal 2010 valida anche per le coppie dello stesso sesso) destinato, in poco più di un anno, a essere mandato in soffitta per far spazio a una norma più "moderna".
L’aggiornamento sembra nascere dall’esigenza di gestire con maggiore flessibilità un fenomeno in crescita esponenziale. Negli ultimi sette anni, il numero dei bambini nati da madre surrogata è triplicato, passando dai 121 del 2011 ai 369 del 2018, con un picco di 400 nascite nel 2016. La verità è che dopo più di dieci anni di pressione sociale, culturale e legislativa, l’associazionismo inglese lgbt e la lobby interessata al business dell’utero in affitto stanno per raggiungere un obiettivo agognato: veder attribuita alla coppia "committente" la genitorialità legale del bambino immediatamente dopo il parto, senza dover aspettare il pronunciamento del tribunale che, stando alla legge attuale, può trasferire la potestà dalla madre surrogata ai nuovi genitori solo dopo il sesto mese di vita del bambino e comunque mai prima della sesta settimana dal parto. In altre parole, la mamma surrogata ha sei mesi di tempo per cambiare idea. E non di rado lo fa.
I tecnici ne fanno una questione di praticità e identità: sarebbe necessario – è il loro ragionamento – sollevare prima possibile le madri surrogate da responsabilità che non vogliono, soprattutto economiche, e dare ai genitori "committenti" la possibilità di dedicarsi alla cura e all’educazione del loro bambino sin dai primi momenti di vita. La raccomandazione, posta al centro di una consultazione pubblica fino al 27 settembre, e destinata a diventare parere formale per governo e Parlamento, auspica che la coppia "committente" possa vedersi riconosciuto il diritto di portare a casa il bambino subito dopo la nascita mediante semplice procedura amministrativa.
Alla luce dei casi giudiziari che, negli ultimi dieci anni, hanno portato a galla le criticità della legge sulla maternità surrogata, è evidente che quello della semplificazione procedurale è in realtà solo un alibi per equiparare la genitorialità acquisita a quella naturale, sottraendo alle madri surrogate ogni possibilità di ripensamento. Secondo una ricerca dell’Università di Cambridge, inoltre, i due terzi delle coppie britanniche interessate alla maternità surrogata hanno preferito rivolgersi all’estero perché la legge nazionale le avrebbe esposte al rischio di contenziosi.
L’obiettivo della riforma, in sostanza, è liberalizzare la pratica dell’utero in affitto in Gran Bretagna, rendendola facilmente accessibile come avviene, per esempio, in California, Ucraina o Illinois, i luoghi preferiti dalle celebrities (come sir Elton John) per trovare una madre disposta a portare in grembo e partorire il proprio figlio. È per questo motivo, ancora, che le raccomandazioni delle Commissioni propongono un "ritocco" alle categorie di spesa che rendono legittimo il pagamento della prestazione della madre surrogata e – non meno importante – l’eliminazione dell’obbligo del legame biologico tra il bambino e almeno uno dei genitori "committenti". Molte coppie, infatti, ricorrono all’utero in affitto attraverso centri di fecondazione assistita che provvedono a fornire embrioni generati da ovociti e sperma di donatori. Eliminare il vincolo genetico significa allargare ulteriormente il mercato. La nuova legge potrebbe contemplarlo, per convenienza, solo nei casi di madri surrogate "ingaggiate" all’estero per facilitare l’ingresso in Gran Bretagna del bambino.
Colpisce il tono con cui parte dell’opinione pubblica accoglie con favore una riforma affidata a tecnici del diritto di sesso maschile (nessuna donna siede nelle commissioni di riforma), liberi dal "sentimentale pregiudizio materno". Molti sono quelli che si sono affrettati persino a sottolineare che la stessa baronessa Mary Warnock, madrina dell’impianto legislativo originario ispirato alla gratuità e alla tutela primaria della madre surrogata, nella fase finale della sua carriera abbia ammesso di aver sostenuto una legge «viziata dalla sua personale esperienza di madre», e per questo «sbagliata».
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