venerdì 17 maggio 2019

Libia, Haftar gela Conte: non fermo le mie armate. E Roma registra un fallimento

@ - Il Mediatore ci ha provato. Ma non ha scalfito i bellicosi propositi del Generale.

Il Mediatore ci ha provato. Ma non ha scalfito i bellicosi propositi del Generale. Fuori, ma neanche tanto, dalle dichiarazioni ufficiali, per loro natura improntate al bicchiere mezzo pieno, il succo del lungo - circa due ore – incontro di oggi a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e l’uomo forte della Cirenaica, il maresciallo-generale Khalifa Haftar, il succo dell’incontro è un sostanziale buco nell’acqua. ”È stato un lungo incontro - ha spiegato Conte ai cronisti a margine del Forum Pa - un lungo scambio di informazioni, ho chiesto aggiornamenti. La situazione è quella che conosciamo, ho espresso la preoccupazione dell’Italia per la situazione che si è creata, che consideriamo molto critica, noi invochiamo il cessate il fuoco e confidiamo che si possa percorrere una via politica perché riteniamo che il dialogo politico sia l’unica soluzione rispetto all’opzione militare in corso”.

Ai giornalisti che gli hanno chiesto se abbia avuto rassicurazioni da questo punto di vista da Haftar, il capo del Governo si è limitato a rispondere: “Abbiamo parlato a lungo...”. Il premier ha insistito sulla via politica alla guerra in atto in Libia, riproponendo il sostegno italiano al piano di pace delineato dall’inviato speciale delle Nazioni Unite, Ghassan Salamé, ma Haftar, forte del sostegno di Russia, Egitto, Arabia Saudita ed EAU, di quel piano non sa che farsene, e di voler fermare l’”Offensiva per Tripoli”, avviata il 3 aprile, non ha alcuna intenzione. Piaccia o no all’Italia

Al Mediatore di Palazzo Chigi, il Generale ha risposto “io andrò avanti, dobbiamo arrivare a Tripoli per estirpare il terrorismo. Le risposte di Haftar a Conte hanno lasciato il presidente del Consiglio interdetto: “Lui è convinto che le sue operazioni militari avranno successo, che Tripoli sia infestata da bande criminali o di terroristi. Noi gli abbiamo risposto che non è così, che continuare con le operazioni militari non farà che peggiorare la situazione, che l’unica soluzione è tornare al dialogo politico, nonostante oggi sia molto più difficile che in passato”, dicono a Repubblica fonti del Governo italiano. E con HuffPost c’è chi si spinge oltre, raccontando di un Haftar quasi infastidito dall’insistenza del premier italiano nel perorare, quanto meno, una tregua umanitaria. I canali di comunicazione tra l’Italia e Haftar restano aperti, e affidati sul campo al nostro ambasciatore a Tripoli, Giuseppe Buccino Grimaldi, e ai nostri servizi d’intelligence, ma la fonte ammette che “Haftar si è irrigidito, ritenendo evidentemente di avere alle spalle solidi supporti esterni”.

D’altro canto, non era servito neanche l’appello al cessate il fuoco lanciato venerdì scorso dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a frenare le ambizioni di conquista del Generale. Nella mattinata di domenica scorsa, le milizie fedeli all’uomo forte della Cirenaica hanno sferrato un nuovo attacco: secondo i media governativi di Tripoli, tre civili sono stati uccisi in un raid aereo sulla città costiera di Zawiya, 50 chilometri a ovest di Tripoli, uno dei porti di partenza per i migranti diretti in Italia e dove sorge anche la principale raffineria del Paese. Un’offensiva che chiama in causa direttamente gli interessi italiani. “Temiamo per i siti produttivi. – afferma il presidente di FedrPetroli, Michele Marsiglia - Centro industriale e petrolifero, Zawiya ospita una delle più grandi raffinerie della Libia a bandiera NOC (National Oil Corporation) con una capacità produttiva di oltre 220mila barili al giorno di greggio, sono presenti pipeline di collegamento ai giacimenti El Feel (Elephant), Hamara e Sharara che sono situati in zona sud e centro occidentale della regione. La Raffineria è un orgoglio italiano, fu costruita in gran parte dalla nostra SnamProgetti negli anni ’70. Se le milizie si stanno spostando verso Sirte, un altro sito di interesse produttivo di raffinazione e collocato a Ras Lanuf”. Continua Marsiglia: “Pensavamo che la scorsa settimana con l’inizio del Ramadan gli scontri potessero avere una tregua momentanea ma così non è stato. Attendiamo nelle prossime ore l’evolversi della situazione e cercheremo di metterci in contatto con altri riferimenti in zona per avere maggiori informazioni sugli sviluppi”.

Sviluppi sempre e solo militari. Perché la “diplomazia delle armi” è quella preferita e praticata dal Generale. Non a caso, giovedì scorso Haftar era volato al Cairo in visita dal presidente Abdel Fattah al-Sisi che gli aveva rinnovato il suo appoggio alla “lotta contro il terrorismo” nel Paese. Tradotto: potete attaccare. A ciò si aggiunge la notizia, rilanciata dalla Cnn, che Haftar avrebbe ricevuto dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi, 200 milioni di dollari, per rafforzare la propria potenza offensiva nel conflitto con il governo di Tripoli L’autoproclamato capo dell’Esercito nazionale libico (Lna) ha anche disposto un ampio dispiegamento di truppe a Sirte, a 450 chilometri a est di Tripoli, città simbolo della guerra contro la wilayah (provincia) dello Stato islamico nel Paese, secondo quanto riportato da Asharq al-Awasat che cita fonti militari secondo le quali l’azione fa parte dell’operazione “per liberare Tripoli dai terroristi”. Lì, il possibile scontro è con le milizie di Misurata, il terzo soggetto militare in campo. che ha nel generale della Cirenaica il principale nemico da sconfiggere. A confermare l’indiscrezione sarebbero anche le immagini che stanno circolando sui social di forze militari del maresciallo in marcia verso Sirte. Anche per questo, Tripoli nei giorni scorsi, ha dispiegato pattuglie nei sobborghi della città natale del Raìs Muammar Gheddafi.

A nulla è servita, quindi, la dichiarazione dell’Onu in cui si esprime preoccupazione per “l’instabilità nella capitale libica e il peggioramento della situazione umanitaria che sta mettendo a rischio la vita di civili innocenti e minacciando le prospettive di una soluzione politica”. Il numero degli sfollati, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (Ocha), è salito infatti a 67.200. Ciò che conta per il generale di Tobruk sono le parole dei partner regionali e internazionali che lo supportano: Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Russia. Se questi, come fatto il 9 maggio da al-Sisi, danno il placet all’offensiva, lui procede. E durante l’ultimo incontro al-Sisi ha confermato il sostegno dell’Egitto nella lotta contro il terrorismo e contro gruppi e milizie estremisti per raggiungere la sicurezza e la stabilità in Libia. al-Sisi ha quindi riconosciuto il ruolo dell’Lna per ripristinare la legalità e creare il clima adatto per raggiungere una soluzione politica della crisi in corso e lo svolgimento delle elezioni. Khalifa Haftar è “deciso a proseguire la sua offensiva su Tripoli”: ha scritto alcuni giorni fa Le Figaro, citando il ministro degli Esteri del maresciallo Haftar, Abdulhadi Ibrahim Iahweej, a Parigi nel fine settimana senza incontri ufficiali. Secondo il quotidiano, il passaggio di Iahweej a Parigi è avvenuto “nella massima discrezione, al contrario di quello, mercoledì scorso, di Sarraj, ricevuto all’Eliseo. Non c’è stato alcun appuntamento, neppure ufficioso”. Ma la visita, aggiunge Le Figaro, “puntava a contrastare l’offensiva diplomatica di Sarraj”. Il quotidiano parigino scrive di aver “incontrato” Iahweej, per il quale “l’unico obiettivo dell’operazione su Tripoli è di mettere fine al caos delle milizie armate, del terrorismo, dell’immigrazione irregolare e delle navi della morte; l’obiettivo non è governare i libici con la forza, imporre una giunta o un uomo solo al governo, ma ricostruire uno Stato”. “La liberazione di Tripoli è imminente - ha aggiunto - il dialogo verrà dopo la liberazione di Tripoli”.

Ed è in questo scenario di guerra, che prosegue l’odissea della nave che nessuno vuole. La nave dell’ong Sea Watch resta in attesa di comunicazioni su un porto sicuro dove fare sbarcare i 65 migranti (tra cui 7 bambini, alcuni di pochi mesi) salvati ieri a 30 miglia nautiche dalle coste libiche. Dopo avere contattato i Paesi competenti – Olanda, Libia, Italia e Malta – l’equipaggio della nave non ha ancora ricevuto alcuna risposta e rimane nella zona Sar libica. La Sea Watch 3 denuncia di essere stata abbandonata ancora una volta dai governi europei e di essere stata minacciata anche dalla Guardia costiera di Tripoli. Ieri il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha firmato una direttiva ad hoc, che, definendo l’imbarcazione “offensiva e pericolosa per la sicurezza pubblica” ha inibito l’ingresso nelle acque italiane alla Sea Watch.

Col decreto sicurezza bis in vigore, la Sea Watch - per aver soccorso 65 migranti al largo delle coste libiche - rischierebbe sanzioni fino a 357mila euro se entrasse nelle acque italiane. All’alba di oggi, una motovedetta libica, la Ras Jadir, ha avvicinato la nave dell’ong e ha intimato all’imbarcazione di allontanarsi dalla costa: adesso nemmeno nel Paese nordafricano sembrano intenzionati ad accogliere i naufraghi. Tuttavia, come già ribadito più volte dall’ong, l’ipotesi di ricondurre i migranti in Libia è fuori discussione perché, come ricordato oggi dalla portavoce Giorgia Linardi, “si tratterebbe di una violazione del diritto internazionale perché il Paese non è un luogo sicuro in alcun punto della sua costa”. “Trovare un porto sicuro non è certo un compito delle navi, ma un obbligo delle autorità”, ha spiegato Linardi. Per ora le condizioni delle 65 persone sono stabili ma, dicono dalla Sea Watch, il “team medico a bordo riporta casi di ustioni gravi dovute alla miscela di carburante e acqua del mare”. “Libia, Malta, Italia, Olanda informate: nessuna risposta”, ha scritto la Ong sul suo profilo Twitter nel dare la notizia. “Nel Mediterraneo stanno diminuendo i testimoni, non le partenze”. Testimoni scomodi di una tragedia umanitaria senza fine.

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