venerdì 31 maggio 2019

Il Papa in Romania: “Non cedere alle seduzioni di una cultura dell’odio”

@ - Inizia a Bucarest la 30^ visita internazionale di Francesco. La denuncia: c'è «un senso dilagante di paura fomentato ad arte, che porta ad atteggiamenti di chiusura».

Cinque giorni dopo le elezioni del «vecchio continente», e a vent’anni di distanza da Giovanni Paolo II, papa Francesco arriva a Bucarest, capitale dello Stato che presiede in questo semestre il Consiglio europeo. La Romania oggi è un paese libero dai regimi che lo opprimevano, ma in cui restano «scogli da superare». È la trentesima visita internazionale del pontificato, un'altra in un luogo «di periferia» segnato da povertà e disoccupazione. In questo primo giorno Bergoglio invita a «non cedere alle seduzioni di una cultura dell’odio», denunciando una «dilagante paura fomentata ad arte».

L’87% dei romeni è ortodosso, il 7% cattolico, una minoranza che però non si dimostra così piccola per le strade di Bucarest, affollate da migliaia di fedeli in festa per l’arrivo del Papa.
Dopo l'accoglienza ufficiale all'aeroporto si svolge la cerimonia di benvenuto al palazzo presidenziale, quindi la visita di cortesia al presidente romeno Klaus Werner Iohannis, e l'incontro con il primo ministro Vasilica Viorica Dancila; poi, l'incontro con le autorità, la società civile e il corpo diplomatico, nel corso del quale il Pontefice tiene il suo primo discorso.
Nel Palazzo Cotroceni, davanti alle autorità dello Stato che presiede in questo semestre il Consiglio europeo, il Pontefice ricorda che la visita segue quella di papa san Giovanni Paolo II del 1999. È questo «un momento propizio - evidenzia - per rivolgere uno sguardo d'insieme ai trent'anni ormai trascorsi da quando la Romania si liberò da un regime che opprimeva la libertà civile e religiosa e la isolava rispetto agli altri Paesi europei, e che inoltre aveva portato alla stagnazione della sua economia e all'esaurirsi delle sue forze creative». Durante questo periodo «la Romania si è impegnata nella costruzione di un progetto democratico attraverso il pluralismo delle forze politiche e sociali e il loro reciproco dialogo, per il fondamentale riconoscimento della libertà religiosa e per il pieno inserimento del Paese nel più ampio scenario internazionale». Sono stati compiuti «molti passi avanti» ma «occorre, al tempo stesso, riconoscere che le trasformazioni rese necessarie dall'apertura di una nuova era hanno comportato, insieme alle positive conquiste, il sorgere di inevitabili scogli da superare e di conseguenze non sempre facili da gestire per la stabilità sociale e per la stessa amministrazione del territorio».

Il Papa parla del fenomeno dell'emigrazione: «Ha coinvolto diversi milioni di persone che hanno lasciato la casa e la Patria per cercare nuove opportunità di lavoro e di vita dignitosa». 
Francesco rende omaggio «ai sacrifici di tanti figli e figlie della Romania che, con la loro cultura, il loro patrimonio di valori e il loro lavoro, arricchiscono i Paesi in cui sono emigrati, e con il frutto del loro impegno aiutano le loro famiglie rimaste in patria».
Il Pontefice pensa «allo spopolamento di tanti villaggi che hanno visto in pochi anni partire una considerevole parte dei loro abitanti; penso alle conseguenze che tutto questo può avere sulla qualità della vita in quei territori e all'indebolimento delle vostre più ricche radici culturali e spirituali che vi hanno sostenuto nelle avversità». Poi esorta: «Pensare ai fratelli che sono all'estero è un atto di fratellanza e di giustizia, continuate a farlo».
Il Vescovo di Roma si sposta al palazzo del patriarcato per l'incontro con il patriarca Daniel, capo della Chiesa ortodossa in Romania, e con il Sinodo ortodosso rumeno.
I legami tra cattolici e ortodossi «risalgono agli Apostoli, in particolare al legame che univa Pietro e Andrea, il quale secondo la tradizione portò la fede in queste terre. Fratelli di sangue» e anche «qui, come in tanti altri luoghi ai nostri tempi, avete sperimentato la Pasqua di morte e risurrezione - osserva Bergoglio - tanti figli e figlie di questo Paese, di varie Chiese e comunità cristiane, hanno subito il venerdì della persecuzione, hanno attraversato il sabato del silenzio, hanno vissuto la domenica della rinascita. Quanti martiri e confessori della fede!». 
Ricordando i sette vescovi vittime del comunismo che verranno beatificati domenica, e parlando delle persecuzioni in nome della fede, dice Francesco: «Il loro esempio sta oggi davanti a noi e alle nuove generazioni che non hanno conosciuto quelle drammatiche condizioni. Ciò per cui hanno sofferto, fino a offrire la vita, è un'eredità troppo preziosa per essere dimenticata o disonorata».
Poi ammonisce: c’è «un senso dilagante di paura che, spesso fomentato ad arte, porta ad atteggiamenti di chiusura e di odio. Abbiamo bisogno di aiutarci a non cedere alle seduzioni di una “cultura dell’odio", di una cultura individualista che, forse non più ideologica come ai tempi della persecuzione ateista, è tuttavia più suadente e non meno materialista. Essa presenta spesso come via di sviluppo ciò che appare immediato e risolutorio, ma in realtà è indifferente e superficiale».
Successivamente Bergoglio e il Patriarca si trasferiscono nella nuova cattedrale ortodossa di Bucarest per la preghiera del Padre Nostro che il Pontefice reciterà in latino e il Patriarca in romeno.
La «Cattedrale ortodossa della Salvezza del Popolo» è stata inaugurata a novembre 2018 ma è ancora in costruzione e il suo completamento è previsto per il 2024. Durante il suo viaggio apostolico in Romania, nel maggio del 1999, Papa Wojtyla fece una donazione di 200mila dollari ed è infatti menzionato nell'elenco dei donatori della Cattedrale. 

E nella Cattedrale degli ortodossi Bergoglio prega vicino ma non insieme al patriarca Daniele. 
Durante il suo saluto il Papa lancia un appello: rinsaldare le radici per fronteggiare la liquidità della società. Chiede a Dio «il pane della memoria, la grazia di rinsaldare le radici comuni della nostra identità cristiana, radici indispensabili in un tempo in cui l'umanità, e le giovani generazioni in particolare, rischiano di sentirsi sradicate in mezzo a tante situazioni liquide, incapaci di fondare l’esistenza».
Incoraggia a «non cedere alla paura, a non vedere nell'apertura un pericolo; ad avere la forza di perdonarci e di camminare, il coraggio di non accontentarci del quieto vivere e di ricercare sempre, con trasparenza e sincerità, il volto del fratello». E ammonisce: «Tanti ogni giorno sono privi» del pane, dell'indispensabile, «mentre pochi hanno il superfluo. Il Padre Nostro non è preghiera che acquieta, è grido di fronte alle carestie di amore del nostro tempo, di fronte all'individualismo e all'indifferenza che profanano il nome tuo, Padre».

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