giovedì 7 marzo 2019

Barbarin condannato per copertura di abusi, annuncia le dimissioni

@ - Sei mesi con la condizionale per l’Arcivescovo di Lione per molestie compiute negli anni '70/80 dal sacerdote Preynat. «Nei prossimi giorni mi recherò dal Papa».

Ha annunciato le sue dimissioni il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione dal 2002, dopo essere stato condannato dal tribunale correzionale della sua città a sei mesi con la condizionale per non aver denunciato gli abusi sessuali che il sacerdote Bernard Preynat ha compiuto a danno di numerosi scout minorenni, negli anni Settanta e Ottanta.

«Dopo la decisione del tribunale, indipendentemente dalla mia sorte personale tengo a ribadire innanzitutto la compassione per le vittime e tutto il posto che loro e loro famiglie hanno nelle mie preghiere», ha dichiarato Barbarin alla stampa. «Ho deciso di andare dal Santo Padre per rassegnare nelle sue mani le mie dimissioni. Mi riceverà nei prossimi giorni».

Nel 2014 una vittima di Preynat, Alexandre Hezez, oggi 40enne, raccontò a Barbarin degli abusi subiti da Preynat. L’uomo ricorrerà poi alla giustizia civile e il Sacerdote, ancora oggi in attesa di essere sottoposto a processo, è messo sotto controllo giudiziario nel 2016. Alcune vittime nel frattempo hanno sporto denuncia contro il cardinale Barbarin, oggi 68enne, accusandolo di non avere denunciato il prete alla giustizia pur essendo venuto a conoscenza dei fatti. Una indagine preliminare si è conclusa nell’agosto del 2016: la procura lionese ha archiviato il caso ritenendo che l’Arcivescovo non abbia ostacolato il corso della giustizia e che, per quanto riguarda voci di abusi giunte a conoscenza di Barbarin prima del 2014, il reato di mancata denuncia sia prescritto. Dieci vittime, però, non soddisfatte, ritenendo che l’obbligo di denuncia non estingua fintantoché le aggressioni sessuali rimangono ignote alla giustizia civile, hanno chiamato nuovamente in causa Barbarin. Questa volta, però, tramite la procedura della «citazione diretta», che, nel sistema giurisdizionale francese, permette di saltare l’indagine preliminare e andare direttamente a processo.

Il processo, iniziato a gennaio, ha visto comparire alla sbarra del tribunale Barbarin e altre cinque persone che erano state in passato suoi collaboratori: il suo ex capo di gabinetto, Pierre Durieux, monsignor Maurice Gardès, nel frattempo divenuto arcivescovo di Auch, Thierry Brac de la Perrière, oggi vescovo di Nevers, e inoltre Régine Maire e il vicario diocesano Xavier Grillon, all’epoca superiore gerarchico diretto di padre Preynat. Anch’egli citato, il cardinale Luis Francisco Ladaria, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha opposto l’immunità diplomatica e non è comparso al processo.

In quell’occasione Barbarin si era sottoposto alle domande dei magistrati e dei legali delle parti, contestando di avere coperto gli abusi, rivendicando di avere incoraggiato Alexandre Hezez a rivolgersi alla giustizia civile e rispondendo, al presidente del tribunale che ha notato che Barbarin avrebbe potuto prendere l’iniziativa di denunciare il sacerdote, di avere chiesto lumi a Roma – un consulto con la Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede che, come emerso in passato, nel settembre 2015 avrebbe consigliato all’Arcivescovo di Lione di adottare «appropriate misure disciplinari» ma di «evitare lo scandalo pubblico» – per concludere: «Ho l’impressione di aver fatto esattamente ciò che mi hanno indicato». 

A conclusione delle testimonianze degli accusati, la procuratrice Charlotte Trabut, coerentemente con la posizione espressa nel primo processo, non aveva chiesto alcuna pena per Barbarin. Il tribunale ha però comminato stamane la sanzione di sei mesi con la condizionale per il solo Porporato. 

La corte presieduta dalla giudice Brigitte Vernay scrive, nella sentenza pubblicata oggi, che già nel 2010 Barbarin era venuto a sapere degli abusi di don Preynat grazie a una lettera inviata al suo predecessore dai genitori di una sua vittima, ma «bisogna constatare che all’epoca da parte del cardinale non è stata compiuta alcuna denuncia», cosa «tanto più deplorevole poiché si sarebbe potuta ordinare un’inchiesta», la vittima sarebbe potuta essere stata ascoltata prima così come si sarebbero potute cercare altre vittime. Il Porporato «non spiega il suo silenzio se non con la certezza che dopo il 1991 questi fatti non erano più accaduti», prosegue il dispositivo di sentenza, «ma questa convinzione non poteva essere sufficiente a dispensarlo dal rispettare l’obbligo di denuncia» previsto dal codice penale francese all’articolo 434 comma 3. 

Don Preynat invece viene nominato nella parrocchia di Sainte Claire en Loire et Rhins e nel 2013 viene nominato decano. Ma poiché questi fatti sono avvenuti nel 2010, il delitto di mancata denuncia per questo primo capo d’accusa è prescritto, spiega il tribunale, per poi passare alla seconda vicenda, la denuncia che il cardinale Barbarin riceve nel luglio del 2014 da un’altra vittima, Alexandre Hezez, uno dei promotori di questo processo, che gli riferisce anche, a partire dal marzo 2015, che ci sono altre vittime. «Il cardinale Barbarin non ha mai manifestato alcun dubbio su queste informazioni», si legge ancora nella sentenza, e l’arcivescovo «aveva l’obbligo di denunciare questi fatti». 

Ma «per tutto il 2014, Philippe Barbarin non ha denunciato alla giustizia né i fatti subiti da Alexandre Hezez né l’esistenza possibile di fatti analoghi. Non ha preso iniziativa nonostante le domande e l’insistenza di Alexandre Hezez» che «spiegava di non riuscire a capire come Bernard Preynat fosse ancora titolare di una parrocchia». Il principale argomento citato da Barbarin, si legge ancora nel dispositivo di sentenza, è che Hezez «gli diceva che i fatti di cui era stato vittima erano prescritti. Ma come comprendere la stessa inerzia quando si trattava dell’esistenza di altre vittime?». 

Barbarin, ancora, «obiettava che dubitava dell’opportunità di denunciare fatti antichi che non si erano ripetuti. Ma quest’ultima convinzione derivava da quanto Bernard Preynat stesso dichiarava. E in questo caso – si legge ancora – perché sollecitare il consiglio del segretario della congregazione per la Dottrina della fede in Vaticano», l’allora monsignore Luis Francisco Ladaria, oggi prefetto dello stesso dicastero, «il 13 dicembre 2014, ossia cinque mesi dopo il primo messaggio di Alexandre Hezez, se non perché quest’ultimo non diminuiva la sua determinazione. Da questo punto di vista, è opportuno sottolineare che una denuncia alla Procura della Repubblica poteva contenere le stesse informazioni di quella trasmessa a Roma. Sappiamo adesso che la risposta inviata dal segretario della Congregazione per la Dottrina della fede prevedeva di prendere delle misure di allontanamento di Bernard Preynat ma invitava ad evitare “ogni scandalo pubblico”. Sembra infine che non era che questa unica priorità, espressa esplicitamente, che bisognava perseguire, l’unico motivo dell’inerzia di Philippe Barbarin nel corso del 2015. E mentre le sue funzioni gli davano accesso a ogni informazione e aveva la capacità di analizzarle e comunicarle utilmente, Philippe Barbarin ha scelto in coscienza, per preservare l’istituzione alla quale appartiene, di non trasmetterle alla giustizia. Visto l’insieme di questi elementi – scrivono i giudici correzionali di Lione – è opportuno dichiarare Philippe Barbarin colpevole di mancata denuncia di maltrattamenti, privazioni o molestie sessuali inflitte ad un minore di quindici anni». 

Sentenza pronunciata dopo aver preso in considerazione «l’autorità che il cardinale Barbarin rappresenta, il potere che ha di decidere in piena indipendenza. Era a conoscenza della problematica legata ai comportamenti pedofili e ai danni causati alle vittime, come testimonia la sua partecipazione alla definizione dei principi adottati dalla conferenza episcopale in questo ambito. E, inoltre, non si può ignorare che aveva conoscenza più antica degli abusi contestati a Bernard Preynat». Per questo, «volendo evitare lo scandalo causato dagli abusi sessuali multipli commessi da un prete, ma anche per le decisioni decisamente poco adeguate prese dai vescovi che lo hanno preceduto, Philippe Barbarin ha preferito prendere il rischio di impedire la scoperta di numerosissime vittime di abuso sessuale da parte della giustizia e di vietare l’espressione del loro dolore. Per questo deve essere condannato alla pena di sei mesi di prigione» con la condizionale. 

«La motivazione del tribunale non mi convince», aveva inizialmente commentato l'avvocato del cardinale, Jean-Felix Luciani. «Contestermo questa decisione con tutti i mezzi giuridici utili». Secondo il legale, era «difficile per il tribunale resistere a una tale pressione con documentari, un film… una situazione che solleva dubbi sul rispetto della giustizia». 

A fine febbraio in Francia è uscito sugli schermi il film Grace a Dieu (Grazie a Dio, da un’espressione utilizzata in una conferenza stampa da Barbarin, quando disse che «la maggioranza dei fatti grazie a Dio è prescritta ma altri forse no, sarà la giustizia a decidere») del regista Francois Ozon che ruota attorno all’affaire Preynat e alla nascita dell’associazione La Parole liberée che ha promosso le denunce. Il sacerdote Preynat non è ancora stato giudicato da un tribunale.

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