lunedì 12 novembre 2018

Macron sfida Trump a Parigi: “Il nazionalismo è un demone”

L’incontro alla celebrazione dei 100 anni dalla fine della Prima guerra mondiale


AP

Da sinistra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il capo dell’Eliseo Emmanuel Macron.

«Il patriottismo è l’amore per il proprio Paese; il nazionalismo è l’odio per quello degli altri». Questa frase non è stata pronunciata da un sinistro sovversivo buonista, ma dal generale de Gaulle. Vale la pena ricordarla, in occasione della cerimonia di ieri a Parigi per il centesimo anniversario della fine della Prima guerra mondiale, perché era lui che stava citando il suo successore Macron, quando ha detto che «il nazionalismo è un tradimento del patriottismo». E intorno a questo concetto, e a questo allarme, ha ruotato l’intera giornata, non solo perché durante la recente campagna per le elezioni Midterm il presidente americano Trump ha rivendicato per sé la definizione di nazionalista, ma perché anche in Europa, come ha denunciato il capo dell’Eliseo, «i vecchi demoni» si stanno riaffacciando. 
Macron è stato attento a mascherare la cerimonia, per farne una celebrazione dell’armonia esistente oggi tra gli ex nemici proiettata verso il futuro, invece di una sterile celebrazione dei vincitori di un secolo fa. Proprio tenendo la cancelliera Merkel sempre al suo fianco, però, non ha lasciato dubbi su quale fosse il vero significato della giornata, cioè l’esaltazione del multilateralismo come antidoto ai conflitti. Infatti dalle ceneri della Grande Guerra, e soprattutto della Seconda, è rinata la speranza: «Questa speranza si chiama Unione Europea, una unione liberamente scelta, mai vista prima nella storia, che ci ha affrancati dalle nostre guerre civili. Questa speranza si chiama Onu, che garantisce lo spirito di cooperazione per difendere il bene comune del mondo». Una chiara sfida ai sovranismi, che sperano di conquistare l’Europa nelle elezioni di maggio e forse sfaldarla, ma anche alla dottrina «America First» di Trump, che minaccia l’ordine liberale globale, costruito dai suoi predecessori proprio per fare insieme gli interessi degli Stati Uniti, e quelli della stabilità mondiale, di cui pochi paesi si sono avvantaggiati negli ultimi settant’anni più dell’Italia. 

Il capo della Casa Bianca o non ha afferrato la sfida del collega dell’Eliseo, o ha scelto di ignorarla. Oppure ha cominciato una riflessione, i cui semi potrebbero stare nel discorso pronunciato poco dopo sotto la pioggia nel cimitero militare di Suresnes, per onorare i caduti americani della Grande Guerra: «È nostro dovere preservare la civiltà che hanno difeso, e proteggere la pace per cui hanno dato così nobilmente le loro vite». Ma questa civiltà e questa pace erano state travolte nel secolo scorso proprio dal nazionalismo che Macron denuncia e Trump rivendica, ed erano state salvate dal multilateralismo che Emmanuel vuole rilanciare e Donald demolire. 
Sulla falsariga di questa divergenza si possono leggere anche gli altri momenti rilevanti nella visita da capo della Casa Bianca a Parigi, cioè la cena di sabato sera al fianco del leader turco Erdogan, e il breve incontro con quello russo Putin che lo ha salutato con il pollice alto. Il primo ha sfidato le alleanze come la Nato, e scosso le regole dell’ordine mondiale, ma ha parlato a Trump dell’omicidio Khashoggi per usarlo contro i rivali sauditi. Il secondo non ha mai fatto parte del sistema occidentale, anche se Mosca aveva avuto un ruolo fondamentale per sconfiggere il nazismo, e oggi sembra approfittare della presidenza dirompente di Trump per incrinare l’alleanza tra le democrazie che lo avevano costruito dopo le guerre mondiali.

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