A lanciare l'allarme è l'agenzia di stampa di Seul, Yonhap, che parla solo di un nuovo sistema bellico "tattico" e con una metafora inquietante dice che "difenderebbe il territorio con barriere di ferro".
PECHINO - I dettagli sono pochi e vaghi. L'agenzia stampa del regime nordcoreano parla solo di una nuova "arma tattica hi-tech" che "difenderebbe il territorio (metaforicamente, ndr) con barriere di ferro". E che sarebbe stata testata sotto gli occhi di Kim Jong-un, ovviamente con enorme successo, "raggiungendo tutti gli indicatori di progettazione superiori". Una notizia che diffonde preoccupazione nel mondo, anche se gli Stati Uniti - ha precisato il dipartimento di Stato Usa - restano "fiduciosi" sul fatto che il dittatore nordcoreano Kim Jong-un rispetterà gli impegni sulla denuclearizzazione.
"Sono stati fatti grandi progressi, ma c'è ancora molto da fare", dichiara il vicepresidente Usa Mike Pence che ha sottolineato come un anno e mezzo fa ci fossero "test nucleari, missili che volavano sul Giappone e minacce e propagazioni" contro Usa e altri.
Una notizia che verrebbe da archiviare nella casella del folklore nordcoreano, se non fosse per il messaggio, ovviamente studiatissimo, che manda al mondo. L'ultima ispezione ufficiale del dittatore a una tecnologia militare, di quelle in cui osserva con il binocolo e tutti prendono appunti, risale giusto a un anno fa, quando presenziò al lancio di un missile intercontinentale.
Da lì in avanti solo fabbriche e campi di grano, Kim la colomba non è più interessato alla guerra. E invece ora che i colloqui con gli Stati Uniti stagnano, riecco spuntare "l'uomo razzo" (copyright Trump). O l'uomo raggio laser, o l'uomo ultrasuoni, o chissà quale altra diavoleria i suoi tecnici si saranno inventati.
Perché nel continuo saliscendi di questa pazza trattativa tra Pyongyang e Washington, tra minacce di distruzione e lettere d'amore, il termometro sta di nuovo precipitando verso il gelo. La scorsa settimana il capo negoziatore nordcoreano Kim Yong-chol era atteso a New York per un incontro con il segretario di Stato Mike Pompeo. Dovevano discutere del secondo summit tra i loro rispettivi capi, Trump e Kim, ipotizzato nella prima parte del prossimo anno e ovviamente di denuclearizzazione. Ma all'ultimo momento l'incontro è stato rimandato.
Trump stesso ha rassicurato tutti su Twitter, fatto sta che lunedì il report di un autorevole think tank di Washington ha rivelato l'esistenza di almeno 13 piattaforme di lancio missilistiche mai dichiarate dalla Corea. "Niente di nuovo", ha scritto di nuovo Trump, che nelle scorse settimane ha assicurato a ripetizione che il regime non è più una minaccia. Nel frattempo però Pyongyang cancellava pure la partecipazione a un forum internazionale a Seul, mandando in bianco la delegazione di benvenuto all'aeroporto.
Il problema è sempre lo stesso, al di là dell'innegabile feeling tra i leader: la distanza tra le posizioni negoziali. Prima di fare concessioni di ogni tipo gli Stati Uniti vogliono una denuclearizzazione completa, irreversibile e verificabile del regime, che deve necessariamente cominciare dalla condivisione delle informazioni su tutti i suoi siti e testate atomici. La Corea del Nord invece, in cambio degli attestati di volontà già forniti, come la distruzione della struttura per i test sotterranei, chiede una dichiarazione di fine delle ostilità e un primo alleggerimento delle sanzioni.
Già: le sanzioni. L'anno scorso, di fronte alle improvvise aperture olimpiche di Kim, si disse che ad averlo convinto era proprio la crescente stretta coordinata dall'Onu. Ora, dopo quasi un anno da colomba, il dittatore si ritrova nella stessa situazione, con la prospettiva per la Corea del Nord di dover affrontare un altro inverno di stenti. La super arma è un avvertimento: tornare indietro è un attimo.
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