venerdì 26 ottobre 2018

Caso Khashoggi, Riad ammette l'omicidio premeditato ed Erdogan ne approfitta per condurre il gioco

Quello che per l’Occidente era il riformatore su cui puntare rischia di diventare fonte di imbarazzo per quei leader che prima facevano a gara per farsi fotografare con lui.

Quel passaggio del suo discorso ribalta i ruoli e consegna al Sultano la resa del Principe o, quanto meno, l'ammissione di una debolezza impensabile per colui che, fino al 2 ottobre, pensava di avere saldamente nelle sue amni non solo il futuro del Regno ma anche di quello del Medio Oriente. "L'Arabia Saudita metterà in pratica tutte le regole necessarie e indagherà profondamente per portare a casa i risultati. E per portare davanti alla giustizia tutti i responsabili di questo crimine atroce e ingiustificabile [...] In molti stanno cercando di usare questo evento doloroso per incunearsi tra Arabia Saudita e Turchia ma alla fine sarà la Giustizia e prevalere": così Mohammed bin Salman nel suo discorso di ieri alla "Davos del deserto". Ciò che conta non sono gli aggettivi riferiti all'uccisione del giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi, "atroce", "inaccettabile" crimine, né la promessa che sarà la Giustizia a prevalere. Ciò che conta davvero, e che dà conto dei nuovi rapporti di forza tra Riad e Ankara, è che l'orgoglioso MbS ha dovuto alzare il telefono e contrattare con Recep Tayyp Erdogan. Con il presidente turco che si erge a inquirente, giudice e negoziatore. L'ufficio stampa presidenziale lo ha informato dell'attenzione mondiale senza precedenti intorno al suo discorso martedì, e che la trasmissione diretta da TRT World in lingua inglese del suo governo ha infranto il suo record. Erdogan potrebbe essere uno dei più grandi soppressori del mondo del giornalismo libero, ma ora ha il controllo di una causa media da prima pagina.

Per mantenere i media interessati – convergono fonti diplomatiche e analisti occidentali - farà in modo di dar seguito a altri discorsi nei quali centellinerà le informazioni in suo possesso. È lui a scandire i tempi delle rivelazioni, costringendo i sauditi ad accodarsi. L'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi è stato "premeditato". È quanto ha detto il procuratore generale dell'Arabia Saudita, in una dichiarazione ufficiale riportata dall'agenzia di stampa di Stato saudita SPA (Saudi Press Agency). "Le informazioni delle autorità turche indicano che l'atto dei sospetti nel caso Khashoggi è stato premeditato", recita la dichiarazione. Poco dopo l'annuncio del procuratore, dei media di Stato sauditi hanno riportato che il principe ereditario Mohammed bin Salman ha presieduto giovedì la prima riunione di una commissione istituita dopo l'omicidio con l'incarico di ristrutturare i servizi di intelligence. Ma a dettare tempi e sviluppi è sempre e solo Ankara. "In questo momento non abbiamo intenzione di trasferire a un tribunale internazionale" la competenza sul caso di Jamal Kahshoggi. A ribadirlo è il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu. "Stiamo compiendo tutti i passi necessari per fare luce su questo omicidio. Questo processo deve essere condotto nel modo più chiaro e trasparente. Ci sono domande a cui ancora bisogna dare risposta. Chi è che ha dato gli ordini a queste 18 persone" che sono state arrestate in Arabia Saudita? "Dov'è il corpo di Khashoggi?", ha aggiunto Cavusoglu, parlando in una conferenza stampa ad Ankara con il suo omologo palestinese Riad al Maliki.

Nel frattempo, il "Sultano" gioca su più tavoli. E quello che fino a ieri avrebbe scatenato la reazione americana, oggi passa sotto silenzio, o quasi. Eppure la notizia è di quelle destinate a mettere ulteriormente in crisi la Nato. L'installazione di missili aria-aria russi S-400 acquisiti dalla Turchia inizierà nell'ottobre 2019: a darne l'annuncio è il ministro della Difesa Hulusi Akar in un'intervista pubblicata dal quotidiano Hurriyet. I missili in questione non sono compatibili con il sistema di difesa della Nato e gli Stati Uniti hanno cercato di dissuadere Ankara dal dotarsene con la minaccia di sanzioni e la sospensione degli attuali contratti tra Usa e Turchia per l'acquisto da parte turca di caccia F-35. Ma ora le cose sono cambiate. I diktat non funzionano più. Quei missili saranno installati e, precisa Akar, una squadra di tecnici turchi si trasferirà presto in Russia per il necessario addestramento. Il messaggio di Erdogan ai sauditi e agli altri governi a cui ha fatto riferimento nel suo discorso Egitto ed Emirati Arabi Uniti – annota Anshel Pfeffer su Haaretz, il quotidiano progressista di Tel Aviv -è che ha intenzione di 'mungere' l'omicidio di Khashoggi per quanto può. È stato dotato di una inattesa leva di pressione internazionale sul campo guidato dai sauditi in Medio Oriente, che lo ha sfidato sin dal rovesciamento del presidente egiziano Mohammed Morsi nel 2013. Non rinuncerà a utilizzare questa leva in qualsiasi momento...".

L'affaire-Khashoggi rappresenta uno spartiacque, nei rapporti di forza in campo sunnita e nelle relazioni con l'Occidente, tra il "prima" e il "dopo" l'eliminazione dello scomodo reporter. Oggi è Erdogan ad avere le carte migliori per condurre il gioco. E alzare la posta. Su Washington, anzitutto. Il direttore della Cia, Gina Haspel, ha avuto modo di ascoltare l'audio nel quale sarebbero documentati l'interrogatorio del giornalista dissidente saudita. Come riporta il Washington Post, la Haspel, che lunedì ha raggiunto la Turchia, ha ascoltato la traccia durante la sua visita nel Paese. Una persona, a conoscenza del contenuto della registrazione, l'ha definita "convincente" e in grado di mettere ulteriore pressione su Washington affinché chieda conto a Riyadh della morte del giornalista. I tempi si stringono: Haspel incontrerà in giornata il presidente Trump per aggiornarlo sul caso Khashoggi dopo il suo viaggio in Turchia. A renderlo noto è il portavoce della Casa Bianca. The Donald non vuole essere spiazzato da nuove rivelazioni e non intende prestare il fianco, anche in vista delle imminenti elezioni di midterm, all'accusa, proveniente anche dalle fila dei Repubblicani, di voler coprire a tutti i costi l'indifendibile "cupola" saudita. L'arresto ordinato dalla Corona di almeno 18 sospetti e l'allontanamento di 5 alti funzionari non può bastare. In questo scenario in continuo movimento, Erdogan intende approfittare di questa crisi di immagine, e non solo, di MbS e della monarchia saudita per rilanciare la centralità della Turchia (che può contare sul massiccio sostegno finanziario del Qatar) nel mondo sunnita e nella determinazione dei nuovi equilibri di potenza nel Grande Medio Oriente. Affari e geopolitica. Per sostenere la malridotta lira turca e non far precipitare la Borsa, Erdogan fa affidamento sui petromiliardi del Qatar. E contro il Qatar è da tempo schierata l'Arabia Saudita, con i suoi alleati-satelliti sunniti del Golfo – Bahrain, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti – che accusa Doha di essere troppo aperta, e in affari, col Nemico iraniano. E a volere la linea dura contro il Qatar è proprio il principe ereditario, MbS.

All'inquilino della Casa Bianca, Erdogan chiede di premere su Riad perché questo ostracismo abbia fine. Lo scorso agosto, in piena bufera monetaria, l'emiro del Qatar, sceicco Tamim bin Hamad al-Thani ha approvato un pacchetto di progetti economici, investimenti e depositi del valore di 15 miliardi di dollari per sostenere l'economia e la lira turca. La valuta quest'anno ha perso quasi il 40% del suo valore rispetto al dollaro. E poi c'è la Siria. Ankara punta alla creazione di una "zona cuscinetto", una sorta di protettorato gestito attraverso l'Esercito libero siriano, dipendente dalla Turchia, nella zona di confine siro-turca. Una richiesta che Erdogan ha riproposto più volte ai suoi partner nella guerra in Siria, Russia e Iran, ma che acquisterebbe ancora più forza e possibilità di realizzazione, se fosse sostenuta dagli Stati Uniti.

Last but non least, Erdogan mette sul tavolo una richiesta non negoziabile: la fine del sostegno militare da parte degli Usa alle milizie curde siriane, l'Ypg (Unità di protezione popolare) in primis, che Ankara considera, alla stregua del Pkk, gruppi terroristici. Uno scenario in movimento che investe gli stessi rapporti, tornati a fiorire in funzione anti-iraniana, tra Gerusalemme e Riyadh, con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in crescente difficoltà nel dipingere l'Iran come il Paese del Male retto da una teocrazia sanguinaria e restare silente quando una pratica "sanguinaria" L'Iran, per l'appunto. Altro effetto, tutt'altro che collaterale, dell'affaire-Khashoggi. "Tra le vittime collaterali della vicenda Khashoggi c'è l'offensiva dell'amministrazione Trump contro l'Iran - rimarca su Internazionale Pierre Haski, analista di politica estera del francese Obs- Tra pochi giorni, il 4 novembre, il presidente degli Stati Uniti dovrebbe inaugurare la seconda fase delle sanzioni contro Teheran decise sulla scia del ritiro dall'accordo sul nucleare, a maggio. Washington vorrebbe "ridurre a zero" le esportazioni di petrolio dell'Iran, accelerando in questo modo la caduta dei mullah. Una simile strategia richiederebbe l'impegno e la partecipazione attiva dell'Arabia Saudita, vicino e rivale dell'Iran, difficilmente compatibile con la tempesta scatenata dall'"eliminazione" in circostanze particolarmente cruente del giornalista saudita Jamal Khashoggi".

E così, quello che per l'Occidente era il giovane "riformatore" su cui puntare, e fare affari, oggi rischia di diventare una figura ingombrante, fonte di imbarazzo per quei leader occidentali che pure, prima del disastro del 2 ottobre, facevano a gara per farsi fotografare assieme a lui. Da risorsa a problema. Un cambio di prospettiva radicale, che un profondo conoscitore della politica mediorientale, Bernard Guetta, sintetizza così: "Despota illuminato, consapevole della necessità di far entrare il suo Paese nel terzo millennio ma caratterizzato da una crudeltà senza pari, Bin Salman ormai si trova nella situazione di chi, facendosi da parte, risolverebbe molti problemi".

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