Sinceramente preoccupato dai migranti che premono alle porte d’Europa, il presidente Trump ha suggerito al ministro degli Esteri spagnolo di costruire un muro nel deserto del Sahara. Il ministro lo ha ringraziato per la sollecitudine, benché abbia provato a spiegargli che recintare oltre cinquemila chilometri di dune potrebbe risultare complicato. Il vostro confine è più lungo del nostro col Messico?, ha chiesto Trump, convinto che fuori dall’America tutto si replichi in scala ridotta, anche la geografia. Il ministro ha dovuto prospettargli una seconda difficoltà: contrariamente alle informazioni assunte dallo staff del Presidente, il Sahara non si trova in Europa, ma in Africa, dove la Spagna conserva soltanto le due enclave di Ceuta e Melilla. Alla parola «enclave» Trump avrà capito «night club» ed è passato ad altro argomento.
Mi sembra già di scorgere i ghigni supponenti delle élite mondialiste al soldo di Soros, Bezos e Aramis, i tre moschettieri della gleba-lizzazione. Ma se loro sanno solo nascondere la testa sotto la sabbia (del Sahara), Trump ha avuto almeno il coraggio di grattarsela, partorendo una proposta concreta. E che a nessuno venga in mente di nominargli il muretto di Alassio, altrimenti ordinerà di ampliare anche quello. Tornando seri, se si può, la parabola di quest’uomo rivela il dramma del nostro tempo: i competenti non capiscono i problemi della gente comune, mentre gli incompetenti li capiscono, ma non hanno idea di come risolverli.
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