domenica 5 novembre 2017

S.E. Zuppi: rimettiamoci per strada

Zuppi: rimettiamoci per strada: "Matteo Maria Zuppi, romano, è figlio di Enrico storico direttore dell’Osservatore della Domenica. È pronipote, per parte di madre, del cardinale Carlo Confalonieri. Ma soprattutto è cresciuto nella Comunità di Sant’Egidio. Dopo che Benedetto XVI lo ha nominato ausiliare di Roma, nell’ottobre 2015 papa Francesco lo ha scelto come arcivescovo di Bologna, una delle diocesi storicamente più rilevanti della Penisola. Il quotidiano cattolico francese La Croix lo ha definito «un vescovo secondo il cuore di Francesco». Una sintonia che si caratterizza nell’amore per le periferie e nell’esigenza di promuovere una Chiesa in uscita. «In una situazione di crisi profonda e di grande disillusione – spiega ad Avvenire – nel nostro Paese la Chiesa ha un patrimonio di valori e di speranza che deve spendere e uscire comunicare a tanti». «Qualche volta – osserva – le difficoltà interne sembrano consigliarci una chiusura a riccio per difendere la nostra identità, ma proprio per difenderla oggi dobbiamo invece rimetterci per strada». E questo «non è scontato». Infatti «a volte pensiamo che uscendo per strada rischiamo di diventare come tutti». Invece «la grande fiducia che papa Francesco vuole trasmetterci è questa: se tu hai il Vangelo dentro non devi temere di perderti, non diventi come tutti». E «la mondanizzazione peggiore e più insidiosa è proprio quella di quando ci si chiude. Questo vale per Bologna, per l’Emilia, per l’Italia».

Eccellenza, che ricordo ha di suo zio cardinale?
Era cresciuto alla scuola di Pio XI per cui la Chiesa si serve e non se ne serve. Oneri e non onori, trovai scritto sul suo tavolo. Era attentissimo a non fare preferenze. Quel che mi resta di lui è un senso di servizio e obbedienza alla Chiesa essenziale e indiscusso.

E di suo padre?
Papà è stato un punto di riferimento molto più importante. Lui ha vissuto tutto il periodo preconciliare alla scuola di don Giovanni Rossi, fino alla Pro Civitate Cristiana, con l’impegno a divulgare e far conoscere il Vangelo alle classi più umili e ai più lontani dalla Chiesa. Questa tensione l’ha testimoniata anche a casa, in famiglia. Era un uomo affettivo, di comunicazione e di preghiera.

La sua storia è segnata dall’incontro con la Comunità di Sant’Egidio.
Che mi ha fatto comprendere il Vangelo, aiutandomi col tempo a capire mio papà. Quando sono entrato al liceo al Virgilio, dove Andrea Riccardi aveva iniziato la Comunità, era l’ottobre del 1968, ed è noto che all’epoca i giovani non erano molto disposti ad ascoltare i padri. In questo non facevo eccezione.

Che cosa l’ha colpito della Comunità?
Lì ho incontrato il Vangelo vivo, l’ho vissuto a livello più personale, e non in modo semplicemente ereditario. Lì ho capito le vere domande della mia vita e il mondo intorno.

Con Sant’Egidio il mondo ha potuto conoscerlo da vicino: l’Africa...
Il primo mondo che ho conosciuto sono stata le borgate di Roma. Primavalle. Dove ho cominciato a capire la vita e a vedere la realtà non dall’alto dei quartieri bene ma dalla periferia. Questa esperienza mi fa sentire molto in sintonia con papa Francesco quando parla di periferie.

Successivamente però gli orizzonti di questa periferia si sono allargati.

In effetti è stato così. Abbiamo seguito l’intuizione di san Giovanni Paolo II quando ha invitato la Comunità ad avere come unico confine quello della carità. E la carità non ha confini. Ecco quindi l’impegno per la pace in Mozambico e anche le missioni tra i poveri nelle periferie delle grandi metropoli del mondo.

In questi viaggi ha avuto modo di incontrare il Papa in quella che è stata la sua prima diocesi?

Andai a Buenos Aires con una delegazione di Sant’Egidio nel 1987, quando fu celebrata la prima Giornata mondiale della gioventù. In quella occasione nacque una prima nostra Comunità nella capitale argentina. Successivamente, nei viaggi per incontrare questa realtà ho avuto modo di conoscere l’arcivescovo Bergoglio.

Papa Francesco l’ha chiamata a guidare una delle diocesi storicamente più importanti della Penisola. Come ha accolto di questa ultima nomina?
All’inizio con molta incertezza. Pensando alla storia della Chiesa di Bologna e riflettendo sulla mia storia personale avvertivo l’inadeguatezza rispetto alla fiducia che papa Francesco manifestava nei miei confronti. Ma proprio questa fiducia alla fine mi ha spinto a vincere questo senso di inadeguatezza.

Bologna conserva un’importante eredità sociale e culturale. Come è stato l’impatto?

È una città in cui questa eredità si percepisce fisicamente. Anche nei suoi edifici. Accogliendo il Papa nella sua visita del primo ottobre ho insistito su quella caratteristica di Bologna che sono i portici. Segno di una città che si fa casa, e di una casa che si apre alla città. Segno di protezione e di incontri. Ora si tratta di vincere le difficoltà generate dalla globalizzazione - penso anche alla questione dei migranti - senza voltare le spalle a questa preziosa eredità.

Bologna è una diocesi di grande tradizione ecclesiale...
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