martedì 7 novembre 2017

Rivoluzione Russa, 100 anni fa: cosa successe il 7 novembre 1917 - Corriere.it

Rivoluzione Russa, 100 anni fa: cosa successe il 7 novembre 1917 - Corriere.it: "Appartengono unicamente al film del regista Sergej Eisenstein le scene di massa della presa del Palazzo d’Inverno da parte di operai, soldati e contadini. «Ottobre», girato per volere di Stalin dieci anni dopo la rivoluzione, ha tramandato alla storia una insurrezione popolare che non c’è mai stata. E per buona misura, ha eliminato dalla scena alcuni dei protagonisti di allora, come Trotsky e Zinovyev caduti in disgrazia. In realtà il 7 novembre del 1917 (25 ottobre secondo il calendario giuliano in vigore in Russia all’epoca) ci fu un colpo di Stato organizzato e attuato da una sparuta minoranza di attivisti bolscevichi. Niente di eroico e di grandioso come raccontò poi Eisenstein; e niente di drammatico e sanguinoso, come aveva previsto Lenin nei suoi piani (nella foto sotto, sulla piazza Rossa a Mosca).

L’ossessione di Lenin, lontano dal potereLettere piene di impazienza
Da settimane, anzi da mesi, il leader bolscevico era ossessionato dall’idea di una insurrezione armata per conquistare il potere in Russia. Temeva che il momento giusto sarebbe passato e che lui avrebbe perso l’occasione propizia. La rivoluzione di febbraio aveva portato all’abdicazione dello zar e alla presa del potere da parte del governo provvisorio. Un mutamento di regime in senso «borghese» e «democratico» che certamente non andava bene a Vladimir Ilyich Lenin, esponente della sinistra rivoluzionaria, che si trovava in esilio in Svizzera per sfuggire alla polizia zarista. Mentre gli eventi precipitavano nella capitale Pietrogrado — che lo zar aveva ribattezzato all’inizio della Grande Guerra per eliminare la desinenza di origine tedesca presente in Pietroburgo —, Lenin fremeva lontano dall’azione. Fu solo grazie all’aiuto interessato del Kaiser che il capo dei bolscevichi riuscì a tornare in Russia su di un treno sigillato che attraversò il paese nemico. Ma per tutta la primavera e l’estate, Lenin dovette seguire gli eventi rimanendo nascosto perché anche il governo provvisorio ce l’aveva con lui. Anzi, dopo il fallito tentativo rivoluzionario di luglio, alcuni esponenti del partito, come Lev Trotsky, erano stati arrestati e gli altri uomini di spicco furono costretti a nascondersi come il loro capo (qui tutte le puntate dello speciale sulla Rivoluzione russa).

I bolscevichi si erano dati da soli questo nome, pretendendo di rappresentare la maggioranza dei rivoluzionari (bolshinstvo, in russo). Ma in realtà erano la minoranza, mentre i menscevichi non erano stati capaci di scrollarsi di dosso la definizione che veniva usata come una accusa infamante (menshinstvo, in russo) nonostante rappresentassero invece la maggioranza. I bolscevichi erano comunque i più attivi, i più esagitati, i più presenti in ogni luogo. Nei Soviet (consigli) dei soldati, creati in tutti i reparti, nelle fabbriche, tra gli studenti. Man mano che le cose andavano avanti, l’idea dell’insurrezione per togliere il potere dalle mani dei «borghesi» era diventata un piano d’azione. Nascosto in Finlandia e poi nei sobborghi della capitale, Lenin continuava a martellare i suoi con lettere che indicavano tutta la sua impazienza (nella foto sotto di G.P. Goldstein, Lenin sul podio — in piazza Sverdlov a Mosca, davanti al Bolshoi — parla alle truppe dell’Armata Rossa, in partenza per il fronte polacco, nel 1920).

L’insurrezione sulla bocca di tutti
La moglie e collaboratrice Nadezhda Krupskaya che manteneva i contatti fu testimone del suo stato d’animo. Quando l’andò a incontrare segretamente a Helsingfors, lo trovò «disperatamente solo, mentre viveva nascosto in un momento che per lui era determinante». In un’altra occasione, la donna gli raccontò di come sul treno pieno di soldati non si fosse parlato che dell’insurrezione. «La sua faccia divenne pensierosa e rimase così per tutto il tempo», ha scritto la donna nei suoi ricordi. A settembre, per proteggersi dal presunto colpo di Stato del generale Kornilov (che invece sosteneva di avere come unico scopo quello di salvare l’esecutivo dagli estremisti rivoluzionari), il governo provvisorio armò i bolscevichi e rimise in libertà gli esponenti incarcerati, compreso Trotsky. Lenin dal suo nascondiglio scriveva. Il sette ottobre al Comitato centrale di Mosca, a quello di Pietrogrado e ai bolscevichi dei Soviet; l’otto ai delegati al Congresso dei Soviet che si sarebbe dovuto tenere a breve. Il nove non resistette più e così si decise a tornare nella capitale in incognito. Dell’insurrezione ormai si parlava apertamente. Tutti lo sapevano ma nessuno faceva nulla, mentre la situazione militare e degli approvvigionamenti era sempre più drammatica (in edicola con il Corriere il volume «1917 Ottobre Rosso» sulla Rivoluzione russa, curato a Antonio Carioti).

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