martedì 7 novembre 2017

La Pira ad Andreotti: «Contro la guerra l'arma della preghiera»

La Pira ad Andreotti: «Contro la guerra l'arma della preghiera»: "«Caro Andreotti, Ti scrivo questa lettera dal letto: è una lettera certo alquanto “curiosa”, un altro ministro si metterebbe a ridere leggendola; tu, no, ne sono sicuro. Questo, anzi, è il punto di fondo che mi unisce a te, perché tu capisci una cosa di immenso valore storico: l’orazione dei monasteri di clausura». Inizia così la missiva che Giorgio La Pira scrive a Giulio Andreotti, allora ministro della Difesa, il 18 maggio 1965. Nella missiva il sindaco di Firenze, morto il 5 novembre di quaranta anni fa, lancia al ministro un’idea tanto “curiosa”, quanto irrealizzabile, ma che va al cuore del rapporto di amicizia e stima che c’era tra i due. La Pira, infatti, chiede a Andreotti di inserire nel bilancio della Difesa «un “capitolo” per le armi efficacissime, “nucleari” dell’orazione (delle cittadelle dell’orazione) in Italia e nel mondo». A noi, come temeva La Pira, l’idea di considerare la preghiera della claustrali al pari di una base missilistica, fa sorridere, ma ci fa capire molto. Anche che per La Pira, il nemico da battere, anche con la preghiera delle claustrali era la corsa agli armamenti nucleari: non solo un terribile rischio per l’umanità, ma la rappresentazione stessa del male e del ritorno dello spirito hitleriano. Un esercizio di volontà di potenza, che per La Pira era un problema di fronte al quale tutti gli altri problemi del mondo passavano in secondo piano, come scrive in alcune lettere a Andreotti.

Quella che pubblichiamo risale al 29 settembre del 1972 (Andreotti è presidente del Consiglio) ed è relativa all’arrivo delle testate nucleari nella base Usa alla Maddalena in Sardegna: contiene molti degli elementi che hanno caratterizzato l’impegno di La Pira per il dialogo e il disgelo tra i due blocchi. Una missione che, a quaranta anni di distanza dalla sua morte, e a venti dalla fine della Guerra Fredda, mantiene la sua attualità, visto che gli arsenali sono ancora pieni e c’è chi pensa di crearne di nuovi. Tanto che la Santa Sede, proprio in questi giorni, lavora per mediare nella crisi nordcoreana con il Vertice mondiale per il Disarmo nucleare voluto da papa Francesco il 10 e 11 novembre a Roma. Entrambe le lettere fanno parte di un corposo carteggio, quasi tutto inedito, conservato nell’archivio personale di Andreotti, all’Istituto Luigi Sturzo. Lettere che, insieme a tantissimo materiale e documenti, Andreotti ha raccolto in quaranta anni di amicizia tra lui e il professore di Diritto Romano, costituente, deputato, sindaco di Firenze, terziario domenicano e francescano, ambasciatore della pace nel mondo, che dal 1986 è sulla via degli altari. Alla causa di beatificazione di La Pira, che Andreotti conobbe nel 1937 alla Fuci, ha contributo con una lunga intervista al postulatore, anch’essa conservata in archivio, nella quale dichiarò: «A parte la convinzione che La Pira lo merita, mi sembra importante il rilievo che ne consegue: che i politici non sono tutti diabolici. Qualche eccezione c’è».

Presto tante di queste lettere saranno pubblicate nel libro Ponti di pace, a cura di monsignor Leonardo Sapienza, con un’introduzione del cardinale Gualtiero Bassetti (Editrice VivereIn). Ma cosa rappresentava La Pira per Andreotti? Come scrisse lui stesso era un seminatore, la cui efficacia non poteva misurarsi sul momento, ma sulla distanza. «Negli anni, le sue iniziative, le sue idee, i suoi appelli profetici hanno prodotto effetti che sembravano impossibili al tempo della guerra fredda», spiegò Andreotti durante la commemorazione di La Pira che tenne alla Camera dei Deputati nel 2004. Lui stesso ebbe modo di verificare che le intuizioni del sindaco santo, frutto anche delle informazioni che raccoglieva nei suoi viaggi di pace, non erano boutade. Non è un caso che nella lettera del 1972 chieda a Andreotti di verificare se Kissinger fosse o no d’accordo sulle testate nucleari nel Mediterraneo. E che faccia dei distinguo tra le idee del Pentagono e quelle del- l’inquilino della Casa Bianca. Ma oltre a ciò, colpisce il fatto che La Pira per Andreotti fosse sempre rimasto quel professore vincenziano che negli anni Trenta portava gli universitari come lui e Aldo Moro a servire i barboni e i poveri nella chiesa di San Girolamo della Carità e che li affascinava con i suoi discorsi pubblici contro il razzismo del fascismo e del nazismo. Un maestro di umanità che, nel 1942, nel pieno della guerra, non temeva di fare l’elogio della pace di fronte alle autorità fasciste di Firenze. Un uomo coraggioso, per il quale il povero veniva prima di ogni regolamento e di ogni codice di legge, tanto da far occupare lui, sindaco di Firenze, gli edifici pubblici e le case vuote per darle agli sfollati. Ma, viceversa, per la Pira Andreotti chi era? In molte lettere gli scrive che è «l’unico in grado di capire» non solo il valore delle claustrali, ma anche la missione storica dell’Italia per la pace nel mondo. L’unico capace di «far saltare gli schemi». " SEGUE >>>

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